I fratelli Gelmi, dal “no” a Salò alla morte a Venezia

Nel 70° anniversario della morte, una delegazione dell’Anpi del Trentino a Venezia per la commemorazione

E’ una storia poco conosciuta quella dei fratelli Alfredo e Luciano Gelmi. Furono fucilati al mattino presto dei primi giorni di agosto del 1944 a Venezia. Alfredo aveva 20 anni, Luciano 19. Nell’occasione del 70° anniversario, lo scorso 3 agosto, una delegazione dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani) del Trentino era presente a Venezia in quella che all’epoca si chiamava Riva dell’Impero e che oggi si chiama Riva dei Sette Martiri. Infatti insieme ai partigiani trentini, i fratelli Gelmi e Bruno Degasperi (ventenne anche lui) furono trucidati Aliprando Armellini, 24 anni, partigiano di Vercelli, Gino Conti, 46 anni, animatore della Resistenza nei pressi di Cavarzere, Girolamo Guasto, 25 anni di Agrigento, Alfredo Vivian, veneziano, operaio della Breda, comandante partigiano nella zona del Piave. Furono fucilati per rappresaglia dai nazisti. Davanti a più di 500 persone costrette ad uscire a forza dalle loro case e ad assistere a quel macabro spettacolo.

Era capitato che la notte precedente una sentinella della marina tedesca era scomparsa. Solo nei giorni successivi si verrà a sapere che quel soldato era caduto nelle acque della laguna perché probabilmente ubriaco. Il “boia” che ordinò al plotone di esecuzione di sparare dirà poi: “Abbiamo ucciso sette innocenti.”

Quella dei fratelli Gelmi, renitenti alla leva di Salò, è una storia che viene poi ricostruita con intensità d’affetti, negli anni successivi dell’immediato dopoguerra, dalla sorella Liliana. Alfredo era uno sportivo provetto: a 17 anni, campione triveneto imbattuto di pugilato. A Luciano piaceva nuotare e andare in montagna. Alfredo si era arruolato nella Marina Militare a Venezia, come un’altra “quercia” che è Corrado Pontalti “Prua”, oggi più che novantenne, sempre presente alle commemorazioni dei compagni caduti nella Resistenza.

Tante disavventure, come l’affondamento del cacciatorpediniere sul quale era imbarcato: Alfredo rimane in mare per 40 ore con un amico che riesce a salvare fin quando non vengono raccolti da una nave e portati all’ospedale militare di Taranto. E poi la licenza premio a casa che si trasforma in un incubo. “Fu portato a Villa Alessandria in Via Perini a Trento, requisita e trasformata in comando nazista – racconta la sorella – e costretto ad indossare la divisa del Corpo di Sicurezza trentino agli ordini dei tedeschi”. Alfredo riesce a fuggire insieme all’amico Bruno Degasperi. Ed è lei stessa, Liliana Gelmi, a subire le angherie e le minacce dei nazisti. Viene condotta al Comando della Gestapo presso le Elementari “Crispi” e poi rinchiusa nelle carceri di Trento. “Il direttore mi guardò, fu sorpreso e mi chiese se ero la minorenne portata lì dalla Gestapo”. Viene liberata dopo 15 giorni e la sua premura è chiedere al padre notizie del fratello: era partigiano.

Nel frattempo l’altro fratello Luciano lavorava in ferrovia sulla linea della Valsugana, Trento-Venezia, come fuochista. Liliana, dopo quindici giorni di libertà “vigilata”, viene di nuovo imprigionata e stavolta per un mese. Non riescono a strapparle nessuna notizia sul fratello partigiano. E lei stessa è costretta a trovare riparo nel veronese, aiutata dalle amiche. Anche Luciano, il “ferroviere”, dopo non poche peripezie, era stato portato nel carcere di Venezia; qui viene a sapere dal cappellano che vi erano rinchiusi anche Alfredo e Bruno Degasperi. La gioia di ritrovarsi attutisce in parte e per breve tempo il dramma della reclusione e la sorte ingiusta. Sarà poi il padre, nei mesi successivi al martirio dei figli, a compiere il dolente viaggio a ritroso per sapere come era andata in questi momenti tragici.

La nipote di Alfredo e Luciano e di Liliana, Annamaria Gelmi, conosciuta e apprezzata artista trentina, osserva che di quella famiglia che abitava il centro storico di Trento non è rimasto quasi più nessuno. E che a Venezia c’è una lapide che ricorda quei ragazzi e il loro sacrificio, mentre in Trentino pochissimi conoscono questa vicenda di ribellione al sopruso e di amore per la libertà. Grazie al tenace e costante lavoro di studio e di testimonianza del presidente dell’Anpi di Trento, Sandro Schmidt, del vice Mario Cossali e di altri, questa pagina della Resistenza che appartiene anche al Trentino è stata riscoperta e tolta alla dimenticanza e all’oblio perché le morti di quei giovani innocenti – recisi nel fiore dei loro anni pieni di speranza – non devono essere state vane.

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