Il triplice binario

Di fronte alla guerra gli esponenti politici cattolici trentini professarono sempre una linea di lealtà ed una posizione critica verso le spinte irredentistiche

L’unificazione tedesca sotto l’egemonia della Prussia, la sempre più accentuata rivalità coloniale tra le potenze europee, la concentrazione industriale in tutti i paesi sviluppati e il nazionalismo tra le popolazioni degli imperi multi-etnici. La storiografia recente considera questi i principali processi storici all’origine della prima guerra mondiale. Tra le cause più immediate della deflagrazione, i manuali di storia elencano anche una serie di conflitti minori tra vecchi e nuovi paesi europei. Se a queste letture viene però applicato il punto di vista regionale e locale, emerge un ben diverso grado di complessità e problematicità. Una lettura critica del conflitto muovendo dal particolare punto di vista e dalla peculiare condizione del Trentino, può offrire spunti del tutto originali e inediti: territorio compreso, prima della guerra, nell'Impero asburgico, seppur abitato da popolazione di lingua e cultura italiana; terra contesa e, alla fine del conflitto, "redenta" (secondo la concezione e il linguaggio della propaganda filoitaliana) con il passaggio all'Italia; linea del fronte tra i due eserciti per lunghi anni; provincia che vide l'arruolamento di circa 60000 uomini nell'esercito austriaco, ma con un contingente di circa 800 che andò a combattere per l'Italia; area che subì imponenti trasferimenti (75000) di popolazioni civili in campi di concentramento nei territori settentrionali dell'impero.

Un punto di vista ancora più particolare può essere rappresentato dal ruolo che la Chiesa e il movimento cattolico trentino ricoprirono nel corso del conflitto. Un ruolo motivato dalla particolare fisionomia socio-politica e religiosa della popolazione locale, soprattutto nel decennio precedente l’entrata in guerra. Le strutture economiche si basavano su una fitta trama di organizzazioni mutualistiche e cooperativistiche, costituite in seno alla società col sostegno della Chiesa, in base agli orientamenti del magistero sociale e degli indirizzi della Rerum Novarum, nel tentativo di combattere la povertà e cercare di limitare l’alto tasso di emigrazione. Una particolare attenzione era dedicata all’informazione con numerose testate giornalistiche. La partecipazione dei cattolici alla vita politica – non gravata, come in Italia, dal non expedit e dai retaggi della questione romana – aveva permesso al Partito popolare trentino guidato da Alcide Degasperi di divenire forza maggioritaria, eleggendo i propri rappresentanti in seno alle amministrazioni locali e al parlamento di Vienna. Il clima politico era caratterizzato dalla contrapposizione con le compagini liberale e socialista, accomunate da un sentimento incline all’annessione all’Italia.

Era consolidato il sistema del cosiddetto “triplice binario”, impostato fin dagli inizi del secolo dall’azione pastorale del vescovo Celestino Endrici e organizzato da gran parte del clero e del laicato cattolico, fondato da una parte sulle organizzazioni economico-sociali, dall’altra sulla partecipazione politica attraverso il partito, dall’altra ancora sul riferimento alla gerarchia e all’associazionismo religioso.

Nei confronti dell’autorità imperiale gli esponenti politici cattolici trentini professarono sempre una linea di lealtà ed una posizione critica verso le spinte irredentistiche. Chiedevano piuttosto il diritto di restare italiani, sotto il profilo dell’identità culturale e linguistica, nell’ambito di un impero multinazionale ed una maggiore autonomia amministrativa. L’universalismo cristiano conferiva alla loro visione un atteggiamento critico verso il modello di stato nazionale storicamente affermatosi nell’Ottocento, considerato un serio pericolo per la pace. Per questo Degasperi fu sempre uno strenuo difensore della Triplice Alleanza, come garanzia sui problemi nazionali, e sperò fino all’ultimo che il Trentino venisse ceduto all’Italia senza lo scontro diretto. L’ esplosione del conflitto avrebbe mandato in frantumi questa precaria situazione e aperto degli scenari assolutamente nuovi. L’epopea dei civili trasferiti forzatamente a nord venne seguita da molti sacerdoti. Il vescovo Endrici – sospettato di sentimenti antiaustriaci – venne confinato vicino a Vienna. La compagine parlamentare, a Camere chiuse, si impegnò per l’assistenza ai profughi e per il rispetto delle libertà fondamentali. Con l’armistizio del 4 novembre 1918 e la pace si presentò una nuova stagione di sfide, per la popolazione e per il movimento cattolico trentino: in primis la miseria e la devastazione causate dalla guerra e i problemi politici dell’inserimento nella nuova realtà nazionale, con il regime commissariale e il ridimensionamento dell’autonomia, che cancellava ogni traccia dell’eredità amministrativa e istituzionale lasciata dall’Austria.

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