Tra lealisti e irredentisti

In Trentino le spinte irrredentiste trovarono nei ceti medi e colti dei centri urbani, così come nel mondo studentesco, i propri privilegiati bacini di reclutamento. Ebbe, invece, meno presa sulla popolazione contadina delle valli]

Di fronte alla guerra 1914-18 i Trentini si trovarono divisi in “lealisti” e “irredentisti”, e questi con varie accentuazioni (unionisti, interventisti, fuoriusciti). Questo è un argomento delicato che va affrontato con onestà, e descritto con rispetto per tutte e due le posizioni.

In massima parte i lealisti – dalla propaganda italiana bollati come “austriacanti”- erano gente del popolo: gente semplice e fortemente ancorata a princìpi di religiosità come base della fedeltà alle leggi dello Stato del quale erano sudditi.

Erano cittadini formati nelle scuole trentine, ottime sotto l’aspetto organizzativo e dell’istruzione, impegnate a creare una mentalità ligia all’autorità costituita e a considerare l’imperatore come un padre-semidio, profondamente convinta che l’ubbidienza allo Stato era un dovere anche religioso.

Il canale preferenziale per veicolare questi sentimenti sarebbe stato anche l’addestramento militare che, toccando l’intera popolazione maschile, avrebbe fatto sì che essa affrontasse la chiamata alle armi del 1914 in forza di una pregressa preparazione mentale.

Erano fedeli all’imperatore anche perché l’amministrazione austriaca era onesta ed esemplare.

Il “lealismo trentino” affondava le radici anche nei vantaggi economici derivanti del commercio ambulante praticato per decenni su larga scala specialmente dalle popolazioni della Valsugana Orientale, e dei paesi dell’Alto Fersina al di là del Brennero, prevalentemente nel Tirolo e Vorarlberg (lavoro nelle fabbriche tessili [“bombasi”

, e linee ferroviarie “aisimpoineri”), dove i Trentini erano accolti da quelle popolazioni con cordiale amicizia. Inoltre, alcuni commercianti ambulanti di stampe del Tesino erano riusciti a crearsi delle posizioni invidiabili perfino in Russia.

Era noto, inoltre, che una fascia non trascurabile degli abitanti delle zone prossime al confine vivevano con i proventi del contrabbando: una attività faticosa e rischiosa che consentiva di sopperire ala povertà delle risorse locali. Ancora oggi non pochi valichi e canaloni di quelle zone ricordano con i loro toponimi le vicende dei contrabbandieri da essi abitualmente praticati.

Oggi tra gli storici vi è sostanziale concordia nell’affermare che anche nel Trentino la mobilitazione generale del 31 luglio 1914 fu recepita senza grandi tensioni; e smentì in gran parte le aspettative dell’elemento militare che aveva coltivato un certo pregiudizio verso la popolazione di lingua italiana. Si rilevò, infatti che a parte incidenti di poca importanza, nel Tirolo le operazioni di mobilitazione funzionarono come un orologio. A oliare i meccanismi della coscrizione straordinaria e a rendere possibile lo svolgimento indolore di un’operazione che poteva offrire il fianco a molte contestazioni avrebbe contribuito in maniera determinante l’educazione patriottica condotta in tempo di pace.

Nel Trentino le popolazioni, tendenzialmente fedeli alla monarchia asburgica, non erano sfiorate dall’idea di un mutamento di confini statali, tanto che Alcide Degasperi, parlando nel settembre 1914 con l’ambasciatore austriaco a Roma, osservava come, nel caso di un plebiscito, il 90% avrebbe optato per l’Austria.

Gli sviluppi della situazione provocarono un cambiamento di mentalità sia nei soldati che nei civili che, a causa della guerra, avevano dovuto abbandonare i loro paesi. Uomini e donne, intere famiglie che, distolti improvvisamente dalle cure della quotidiana esistenza, dovettero affrontare un radicale capovolgimento di consuetudini a una pressoché totale frattura con gli interessi di un mondo al quale lo legavano affetti e opere, gioie e sofferenze.

L’ irredentismo “diffuso in varie parti d’Europa nel secondo Ottocento, si caratterizzò in Italia come movimento di rivendicazione dei territori asburgici del Tirolo italiano (Trentino) e della provincia Adriatica (Venezia Giulia) che erano rimasti esclusi dal processo di unificazione italiana. Nel caso trentino prevalsero gli orientamenti di estrazione democratica incarnati da alcuni esponenti della politica liberale e del nascente movimento socialista. Risultarono invece minoritari gli eccessi alimentati dall’ala nazionalista. Quest’ultima, animata da una violenta pregiudiziale antitedesca, si avvicinò per asprezza alle forme dell’irredentismo giuliano. Come accadde in territorio italiano, anche nel Trentino le spinte irrredentiste trovarono nei ceti medi e colti dei centri urbani, così come nel mondo studentesco, i propri privilegiati bacini di reclutamento. Ebbe, invece, meno presa sulla popolazione contadina delle valli. Pure espresso dalla minoranza della popolazione trentina, l’irredentismo era vivace e attivo.

Non furono pochi gli studenti trentini che, formatisi in particolare negli istituti scolastici superiori del Trentino meridionale, furono animati da un ‘ribellismo’ patriottico intriso di mazzinianesimo che li spinse a intrattenere rapporti con i più attivi centri dell’agitazione nazionale, favoriti in ciò da soggiorni di studio nelle università italiane. Lo stesso associazionismo nazionale trentino (alla Lega Nazionale alla Società degli Alpinisti Trentini) contribuì a tenere alta la tensione irredentista difendendo l’italianità delle valli dagli attacchi del pangermanesimo.(Andrea Bonoldi e Maurizio Cau in Il territorio trentino nella storia Europea – vol. IV L’età contemporanea)

Al contempo, il fuoriuscitismo irredentista” simboleggiato da Cesare Battisti e oggetto di una corposa tradizione memoriale, appare un fenomeno fortemente circoscritto inadatto a descrivere sentimenti e atteggiamenti della maggioranza della popolazione trentina. Se in tempo di pace era stato possibile approfittare di una relativa tolleranza che permetteva a esempio al leader socialista trentino di sedere al parlamento viennese nonostante la declamata inclinazione irredentista, il regime militare radicalizzava le opposizioni, e chiamava i sudditi a una scelta di campo definitiva. (Marco Odorizzi)

Oggi, dopo cento anni sta prendendo consistenza il superamento della chiave di lettura marcatamente nazionalista di quegli eventi che – a seguito dell’esito finale della guerra, e specialmente nel ventennio fascista – fu generosa di esaltazione per gli ”irredentisti”; e applicò praticamente ai “lealisti“ la “damnatio memoriae”. In tal modo essi furono doppiamente torteggiati: contadini strappati alle famiglie e alla propria terra, e mandati insensatamente a patire, uccidere, e morire; e poi ignorati disinvoltamente e ingiustamente dalle narrazioni eroiche e dai libri di scuola. Tuttavia la popolazione del Trentino dedicò ai Caduti dell’una e dell’altra parte significativi monumenti nelle piazze e nei cimiteri. Per molto tempo la propaganda nazionalista sosteneva che i soldati ebbero il “torto” di combattere dalla parte sbagliata.

Io direi, invece, che la “parte sbagliata” era conseguenza di una “scelta” che i nostri soldati non hanno fatto. Erano uomini che, chiamati sotto le armi, hanno compiuto il loro dovere umilmente, tacitamente, senza aspirazione di gloria, senza attesa di ricompensa, solo obbedienti agli ordini venuti dall’alto.

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