Lo psicoanalista ascolta…

Nel romanzo Il male oscuro di Giuseppe Berto il tema della nevrosi, del senso di insoddisfazione e sconfitta perenne di fronte alla vita, al lavoro, agli affetti

È stato uno dei casi letterari degli anni Sessanta, e nell'anno in corso ricorrono sia i cinquant'anni della pubblicazione del romanzo sia i cento della nascita dello scrittore: ancora oggi Il male oscuro di Giuseppe Berto (Mogliano Veneto, 1914 – Roma, 1978) è un'opera che tiene desta l'attenzione dei lettori e della critica e fa discutere. Questo sarà l'argomento della conferenza che terrò venerdì 31 ottobre alle ore 17 all'Associazione Culturale “A. Rosmini” di Trento (via Dordi, 8) e di cui fornisco nell'articolo delle anticipazioni.

Giuseppe Berto si era già fatto apprezzare per un romanzo pubblicato nel 1946, Il cielo è rosso, e lavorava come giornalista e sceneggiatore cinematografico a Roma. Personalità complessa, litigiosa e non facile, aveva vissuto per alcuni anni una crisi creativa e la sensazione ricorrente di non essere più in grado di lavorare; per risolverla frequenterà per un lungo periodo le sedute di uno psicanalista. Il male oscuro è dunque in parte un romanzo autobiografico, basato sull'esperienza della nevrosi e delle sedute terapeutiche in quella che, negli anni Sessanta, era ancora una disciplina relativamente nuova per l'Italia (le prime facoltà universitarie di psicologia nasceranno da noi nel 1971).

Componendo un romanzo, Berto cambiò, come è naturale, luoghi e situazioni, protagonisti e intreccio, ma ripropose il tema-chiave della nevrosi, del senso di insoddisfazione e sconfitta perenne di fronte alla vita, al lavoro, agli affetti; vissuto in particolare nel confronto con la figura ingombrante e oppressiva del padre, con cui il protagonista era in perenne conflitto: “Chissà poi mai cosa pensava lui di se stesso, se cioè mi associava almeno parzialmente nelle numerose colpe che mi attribuiva, o se addirittura attribuirmi colpe era per lui una manovra evasiva allo scopo di scaricarsi sia pure fittiziamente la coscienza”.

Lo stile con cui l'opera è composta è il flusso di coscienza: quell'inarrestabile insieme di ricordi, analogie, sensazioni, rimpianti, associazioni mentali illogiche ma che il paziente di una seduta psicanalitica “racconta” a chi lo ascolta e cura. Uno stile caratterizzato da una narrazione “a ruota libera”, in genere con una scarsissima punteggiatura, che in altri grandi scrittori del Novecento (Joyce, Céline, Proust, Marquez) è stato il mezzo per raccontare anche sogni, ricordi complessi, storie vissute o leggendarie. Berto lo usa descrivendo le sconfitte e gli accidenti di un poveraccio che ha un'esistenza tutt'altro che fortunata e felice; ma anche questo fa del protagonista un antieroe reale e veritiero, nella sofferenza di tutti i giorni.

Il male oscuro, dopo La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923), a distanza di quarant'anni riprese in Italia e pose al centro della sua narrazione la psicanalisi. Vinse nello stesso anno i premi Viareggio e Campiello e fu un successo di vendite mondiale, che riportò lo scrittore ai “piani alti” della letteratura.

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