Vitigni pro futuro

La scelta del vitigno è determinante per l’esito del vigneto. Sostituzioni obbligate ci sono state anche in passato, ma oggi il mercato globale ha reso più difficile la decisione. Da S. Michele indicazioni importanti

Nell’ambito del 41° Congresso nazionale del MIVA (Moltiplicatori italiani viticoli associati) che si è svolto recentemente a Trento, il convegno tenuto presso la Fondazione Mach di S. Michele lo scorso 10 ottobre su “Il futuro del vino… ma con quali varietà?” ha rappresentato un momento di riflessione importante per gli addetti al settore: ricercatori, tecnici vitivinicoli, viticoltori, operatori della filiera che parte dalla barbatella di vite e si conclude col consumatore del vino.

Sei le relazioni affidate ad esperti locali e nazionali. Numerosi e importanti gli argomenti affrontati. Il titolo poneva un interrogativo di grande attualità, ma al tempo stesso storicamente ricorrente fin dalla seconda metà dell’800. La scelta dei vitigni da coltivare si è imposta a ricercatori e tecnici già dopo l’avvento in Europa di oidio, peronospora e successivamente con la comparsa devastante della filossera. Nella prima metà del ‘900 si è resa indispensabile la ricostituzione di tutti i vigneti franchi di piede con portainnesti americani o ibridi resistenti alla filossera. Negli anni ’50, almeno in Trentino (ma il problema ha riguardato anche le altre regioni vitivinicole italiane), si è proceduto, seppure con gradualità alla sostituzione dei vitigni esistenti, molto produttivi, ma poco pregiati, con altri di caratura superiore, autoctoni o importanti soprattutto da Francia e Germania.

Ogni periodo ha avuto i suoi problemi, ma anche le risposte o indicazioni adeguate alla necessità del momento. Oggi risulta assai più difficile e problematico stabilire e consigliare quali vitigni coltivare per produrre vini in grado di esaudire le richieste di un mercato globale e al tempo stesso assai diversificato. Chi ha assistito al convegno sperando di raccogliere indirizzi certi può essere rimasto deluso. In compenso però dalle relazioni e dagli interventi (ridotti al minimo) sono emerse informazioni utili per un orientamento di massima che gli operatori potranno rendere concreto tenendo conto della propria situazione e delle richieste alle quali devono dare risposta con vitigni e vini pertinenti alle varie situazioni. Proponiamo di seguito una sintesi essenziale del convegno.

Il vivaismo viticolo nazionale ha una grande potenzialità produttiva. Dai 1.700 ettari di vigneti madre si potrebbero raccogliere 510 milioni di gemme da utilizzare per realizzare altrettanti innesti talea. In realtà solo il 20% del materiale di base viene utilizzato. Il MIVA opera in tutte le regioni viticole italiane e quindi rappresenta l’anello di congiunzione fra ricerca e vigneto, anche se l’attività vivaistica non è ancora riconosciuta da Bruxelles quale parte fondamentale della filiera.

In Trentino le aziende vivaistiche viticole sono 17, una è cooperativa, le altre sono private. Ogni anno producono 11 milioni di innesti talea e un numero di barbatelle compreso tra 7,5 e 8,5 milioni. Sarebbero sufficienti per coprire 2 mila ettari di terreno a vigneto. Significa che in 5 anni potrebbero fornire cumulativamente il materiale (barbatelle) per sostituire l’intero patrimonio viticolo trentino.

Ma con quali vitigni?

Il Dipartimento di genomica di base e applicata alla viticoltura di S. Michele sta lavorando su molti fronti, avvalendosi anche di tecniche molto avanzate, ma i risultati in termini di nuovi vitigni resistenti alle malattie ed enologicamente validi sono in divenire.

La ricerca ha bisogno di tempi lunghi. I primi vitigni innovativi si potranno avere nel 2023 con qualche anticipazione nel 2016, ma si tratta di scadenze indicative. I ricercatori dell’Università di Udine che lavorano con i vivai di Rauscedo hanno già prodotto 10 vitigni resistenti che sono stati registrati presso il Ministero per le politiche agricole e sono disponibili per chi li vuole mettere a dimora.

Nell’attesa si possono utilizzare gli 8 vitigni resistenti realizzati dall’Università di Friburgo. Si tratta di vitigni autorizzati anche in Italia.

Ma dove piantarli e con quale margine di rischio commerciale per la vendita del vino?

Possono servire per investire zone a rischio di inquinamento perché non richiedono trattamenti chimici, luoghi di difficile accesso o per realizzare vigneti biologici o biodinamici. Nella scelta dei vitigni più in generale si devono tenere presenti non solo le potenzialità genetiche delle viti, ma anche la qualità dell’uva e dei vini. Si deve tenere conto delle preferenze di chi acquista e beve i vini. Esse variano in base all’età, al ceto sociale e alla posizione geografica del mercato di approdo. I vitigni resistenti alle malattie principali della vite non sostituiranno comunque il patrimonio varietale esistente. Non risolveranno neppure i molteplici ostacoli che si frappongono al raggiungimento di una viticoltura ecosostenibile, difficile da realizzare e soprattutto da spiegare in termini comprensibili al consumatore.

Concludiamo informando che l’assemblea MIVA ha dedicato una targa d’onore alla memoria di Giulio Ferrari, padre della spumantistica trentina, ma anche grande vivaista viticolo.

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