Io mela… mango!

Dalla val di Non un ponte con Matetu in Kenya, per sostenere piccole, ma significative iniziative di sviluppo

La mela della Val di Non e il mango del Kenya. “Unire” i due frutti nel segno di “gemellare” anche due terre, il Trentino e l’Africa. Ne è sortito un bel nome che è anche un programma di aiuto e collaborazione: Melamango. E’ l’associazione che da Taio ha gettato un ponte con Matetu in Kenya, realizzando una struttura dove sono ospitati bambine e bambini provenienti dall’area di Akarome (che letteralmente significa in kimeru “l’angolo dove si butta la spazzatura”), che si trova nell’insediamento rurale di Mitungu, a 300 chilometri dalla sterminata Nairobi.

Il complesso residenziale si chiama Shalom OVC (Orphans and Vulnerable Children) e attualmente ospita 152 minori di età compresa tra i 4 e i 14 anni. E’ successo che in una vasta area dove si trovavano industrie per la lavorazione del cotone e la trasformazione del tabacco, adesso c’è il deserto produttivo con la conseguente forte disoccupazione e l’estrema misera, e il degrado che ne è conseguito. In preda alla disperazione intere famiglie si sono sfaldate, con gli uomini che si sono dati all’alcol e le donne che sono rimaste da sole a sostenere le famiglie, spesso numerose. In questo contesto è la prostituzione che dilaga e l’Aids che miete vittime nell’indifferenza più totale. Ecco allora l’orfanotrofio, l’esigenza e la necessità di dare un rifugio a bambine e bambini altrimenti in stato di completo abbandono. Ci sono quattro dormitori con servizi igienici, un luminoso ed accogliente refettorio, la cucina, ambulatori, otto aule e la scuola con annessi modesti ma confortevoli alloggi per gli insegnanti.

Giuliana Cova, nonesa, “anima” dell’associazione Melamango, insieme a qualche decina di volontari (e di questi metà sono giovani tra i 25 e i 35 anni) ci tiene a sottolineare con forza che quello che hanno fatto in questi due anni non si deve ascrivere a mero assistenzialismo. Perché l’intento è quello di avviare piccole, ma significative iniziative di sviluppo nel segno di una progressiva e graduale autonomia. “Camminare con le loro gambe”, questo è l’obiettivo a cui Giuliana e gli altri del gruppo tengono particolarmente. Essendo ricca d’acqua perché attraversata dal torrente Mutonga, quella zona si presta alla coltivazione di banane per soddisfare il mercato interno. Nei pressi dell’orfanotrofio ci sono diversi ettari di terreni incolti potenzialmente da sfruttare. Il progetto per l’immediato futuro riguarda la possibilità di acquistare questi campi incolti da destinare a bananeto.

A fungere da tramite tra la “mela” e il “mango”, tra il Trentino e il Kenya, è padre Francis Gaciata, fin dalla prima ora al fianco di quella popolazione allo sbando. E sul fatto di non considerare l’orfanotrofio come un’isola, ma piuttosto un piccolo avamposto di umanità da cui ripartire padre Francis gioca tutto se stesso e il progetto di Melamango.

L’orfanotrofio non è una struttura separata: se sono ancora in vita, si contattano continuamente i genitori delle bambine e dei bambini, o almeno la madre o qualche parente perché il legame familiare non venga definitivamente reciso. Anzi, i parenti sono invitati nella struttura per svolgere piccoli lavoretti come le pulizie o qualche servizio di giardinaggio, si attivano i contatti, insomma si fa tutto il possibile per dare la possibilità a questi minori di mantenere in qualche modo una radice e una memoria familiare di provenienza. E ogni tanto i bambini sono accompagnati nelle zone di nascita perché le radici sono importanti anche quando sono aspre e dolorose; non si può fare tabula rasa del proprio passato, piuttosto occorre rielaborarlo e condividerlo nel segno dell’amicizia e della vicinanza per crescere meglio. Solo così si può sperare in un futuro migliore.

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