Sei consigli per i laici

Ecco sei consigli per chi entra in una nuova Unità pastorle ricavati da un contributo del blog vinonuovo.it.

1. Laici fino in fondo, anzi “fino in cima”. Se la tua parrocchia entra in Unità pastorale, è evidente che il modo di fare il prete cambia. Le priorità vanno riviste, le agende ristrutturate, i compiti suddivisi tra sacerdoti e laici attraverso il consiglio pastorale. Ecco, finalmente è il momento di avverare la profezia di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Terlizzi-Giovinazzo. Finalmente è il tempo di diventare laici responsabili e corresponsabili, capaci di discernere e decidere, e anche di prendere la parola a nome della comunità, senza imbarazzi, senza sentirsi supplenti dei pastori. Unità pastorale significa, gioco forza, scelte più condivise concretizzate dai laici e gestione delle strutture che piano piano passerà ai parrocchiani. Ai sacerdoti i sacramenti, le relazioni, la nobile cura delle anime.

2. La preghiera al centro. Perché la parrocchia non diventi l’ennesima associazione di volontariato nella quale ognuno prova ad accaparrarsi un pezzetto di posto al sole, occorre intensificare la preghiera. Il senso dell’esistenza della comunità sta tutto nell’Eucaristia. L’ha detto Papa Francesco qualche mese fa: senza la preghiera, l’eucaristia, la chiesa diventa una semplice ong.

3. La vita comune dei preti. È di grande ispirazione per noi laici. “Non c’è unità pastorale se non c’è fraternità sacerdotale”, ripete spesso un anziano parroco tra i pionieri delle unità nel Nordest. Rappresenta un segno chiaro della realtà verso la quale si sta andando: un cammino condiviso, che parte dalla tradizione del territorio, ma soprattutto dalle persone, e infatti

4. Quelli della parrocchia accanto non sono alieni. Sono persone che come noi guardano i cambiamenti in atto nella chiesa e nella realtà, che come noi hanno qualche preconcetto figlio del vicinato e del campanilismo, qualche abitudine pastorale di cui non comprendiamo immediatamente le motivazioni. Ma in fondo sono, esattamente come noi, persone che si spendono per la comunità, che donano la cosa più preziosa che hanno, il tempo, consapevoli che si tratta di un (piccolo) sacrificio che permette di crescere, come persone e come cristiani.

5. Sperimentare la novità. L’unità pastorale rappresenta la fine del mai abbastanza vituperato “Facciamo così perché si è sempre fatto così”. I tempi cambiano, le persone si incontrano, le idee circolano e le scelte maturano. Annunciare il Vangelo non ha forme standard, anzi, pratiche lise perché infinitamente ripetute rischiano di sfibrare anche la forza del Messaggio. Apriamo le porte al vento dello Spirito, da meri esecutori si può diventare ideatori, sperimentatori. La nostalgia dei bei tempi andati non aiuta di certo a guarda, progettare, cesellare il futuro. L’importante, come al solito, è non innovare solo per il gusto di farlo.

6. Sentirsi parte viva della diocesi. Quale vantaggio può portare starsi a scervellare sul perché il vescovo abbia deciso di unire ad altre proprio la nostra parrocchia? Le motivazioni a volte sono evidenti a volte meno. Le stesse condizioni con cui un nuovo organismo come l’unità pastorale viene introdotto non sono ottimali. Ma sentirsi i derelitti, l’ultima ruota del carro della situazione non ha senso. Ogni nuova unità ha la possibilità di diventare centro propulsivo, motore aggregante, laboratorio pastorale dove vengono sintetizzate le buone pratiche del futuro, gli stili capaci di sdoganare dal Vaticano la chiesa di papa Francesco.

Rinnoviamo la pratica della virtù teologale della speranza è guardiamo al futuro con ottimismo. È il tempo del ritorno all'essenziale: cambiare i modi, allargare il giro delle persone, imparare preghiere nuove non può che renderci cristiani migliori.

Luca Bortoli

giornalista del settimanale diocesano di Padova

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