Un momento molto difficile

Si fanno paragoni con Tangentopoli, ma quella della “mafia-capitale” è un’altra storia, molto peggiore. Ai tempi di tangentopoli c’era un illecito sistema di finanziamento dei partiti, con alcuni casi di arricchimento personale, ma relativamente circoscritti. Soprattutto nessuno aveva mai chiesto i soldi solo per sé. Nel caso romano invece si tratta di delinquenti comuni, che rubano per loro stessi, senza avere alcuna reale investitura politica.

Certo, per ottenere gli appalti con cui ricavavano i guadagni illeciti per sé corrompevano politici e funzionari amministrativi, ma anche in questi casi si trattava sempre di altri arricchimenti personali illeciti. I finanziamenti versati ai principali partiti per le loro attività politiche, ovviamente senza distinzioni fra destra e sinistra, erano un corollario, tanto per acquisire un po’ di credibilità personale e giustificare l’intervento a favore dei loro “amici”.

Tuttavia è su questo aspetto che conviene fare una prima riflessione. Si parla tanto in questi giorni di inasprire le pene senza guardare in faccia a nessuno. Benissimo, ma viene da chiedersi: come la mettiamo con la prassi, purtroppo ampiamente seguita anche da soggetti che non sono iscrivibili come quelli romani alla criminalità, secondo la quale chi punta ad avere appalti pubblici finanzia i partiti e addirittura i candidati che poi andranno a decidere su quegli appalti? Non è lampante che quando si finanzia tanto la destra che la sinistra ci si voglia mettere al riparo in modo che chiunque vinca abbia qualche debito da onorare verso chi gli ha dato dei soldi?

Il tema è delicatissimo, perché ovviamente tocca la questione del finanziamento ai partiti. Quello pubblico si è squalificato perché con quei soldi (dei contribuenti) i partiti si sono pagati di tutto, compresa la bella vita dei loro membri. Spingere però i partiti a cercare di finanziarsi ricorrendo alle elargizioni dei privati, presenta egualmente dei rischi, e non piccoli.

Di tutto questo non si parla, perché prevale il sentimento di indignazione della gente attanagliata dalla crisi economica, che, come da manuale, eccita i peggiori sentimenti. Giustamente il governo decide di prendere il toro per le corna e Renzi mostra di voler sradicare la mala pianta, ma qui davvero non si sa se saranno solo annunci. L’inasprimento delle leggi sulla corruzione avrà comunque effetto solo in futuro (la norma penale non può mai essere retroattiva) e vedremo se la banda presa con le mani nel sacco pagherà veramente per le sue colpe.

Intanto ci sono i guasti prodotti da questa situazione. Quelli più visibili sono il colpo portato alla nostra credibilità nazionale (roba delicata in una congiuntura come questa) e l’incremento al sentimento pubblico che giudica la politica come il regno dello sterco: in realtà benzina per i motori dei partiti di Grillo e Salvini e ancor di più per quello dell’astensione. Non sottovaluteremmo comunque guasti meno visibili, ma assai significativi.

Il primo è l’appannamento delle misure di riforma che si è riusciti a far passare. Né la legge di stabilità, né il cosiddetto Jobs Act sono stati in grado di essere valutati per quel che potenzialmente apportano, essendo stati relegati in seconda fila dal profluvio di notizie sulle porcherie della mafia romana. Sparare sulle riforme è scegliersi un bersaglio facile, ma se non aumenta il clima di fiducia nel futuro abbiamo poche speranze di ripresa.

La seconda conseguenza sarà un aumento di sfiducia nei sistemi di governo locale. Non è che in questi ci sia più corruzione che a livello centrale, ma un sistema che ha conferito molti poteri di gestione dell’intervento pubblico a quei livelli, ha concentrato lì l’assedio del malaffare. Questo avrà probabili conseguenze sulla tornata elettorale amministrativa di primavera, ma ancor di più avrà effetto a sostegno di quel ritorno al centralismo che sembra oggi dominante.

In terzo luogo questo nuovo scandalo è un colpo all’immagine del sistema cooperativo, anch’esso sotto pesante e interessato attacco. Ora mettere in crisi quel sistema significa indebolire una quota sensibilissima dell’economia nazionale, anche in termini di occupazione, cioè fare l’ultima cosa di cui c’è bisogno in questa crisi. Certo se il sistema cooperativo facesse qualcosa per farsi carico delle problematiche emerse, anziché illudersi di cavarsela con il rinvio alla solita teoria delle mele marce, non sarebbe male.

Già da tangentopoli non siamo usciti benissimo, perché abbiamo azzerato un sistema di partiti tradizionali senza sostituirlo con qualcosa di molto meglio. Converrebbe non ripetere l’errore.

vitaTrentina

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