Il nodo del Quirinale

La prossima uscita di scena di Giorgio Napolitano è ormai non solo certa, ma relativamente imminente: nel suo discorso di mercoledì alle alte cariche dello Stato ha praticamente detto con chiarezza che la data sarà intorno alla metà di gennaio. Ovviamente non ci si poteva aspettare l’annuncio di un giorno preciso, perché questo ci avrebbe consegnati ad una presidenza di fatto dimezzata, il che sarebbe stato pericoloso in questa delicata fase.

Gli ultimi due messaggi del Presidente sono stati interpretati come un sostegno a Renzi, ma in realtà sono stati dettati dalla piena consapevolezza del momento difficilissimo che attraversiamo. Il nostro paese è preda di una crisi complessiva che ci azzoppa sia sul piano interno che su quello internazionale. Anche se la faccenda non va esagerata, basta guardare a come ci sta trattando l’India nella vicenda dei due fucilieri di marina che aspettano da tre anni un processo che non si riesce a fare, ma che intanto sono prigionieri, per quanto dorati, del governo di quel paese. Eppure noi adesso abbiamo anche la responsabile esteri della UE, che evidentemente viene vista come una presenza scarsamente incisiva, avendo alle spalle una Italia preda di tanti sconquassi.

Non è naturalmente solo questione dell’ultima ondata di scandali, che pure, per vastità e odiosità, non ci fanno certo fare bella figura sulla scena internazionale. E’ ancor di più il problema di una politica che sembra il regno della lotta di tutti contro tutti e degli intrighi più banali. Quello che sta succedendo nel PD è al limite della paranoia, con una minoranza interna che più che proporre politiche alternative fa le bizze in continuazione. Forza Italia è guidata da un superstite che non si rassegna a cedere il passo e che non sa far altro che contribuire ogni tanto ad attizzare le contrapposizioni interne alla maggioranza di governo. La Lega segue sempre più una deriva populista di destra e il M5S, quando non è intento alle epurazioni interne, continua nel suo gioco al massacro contro qualsiasi istituzione.

Eppure la situazione con cui dobbiamo confrontarci è pesante. Sul piano economico non decolliamo neppure un poco e una buona parte dei sindacati gioca allo sfascio perché ha perso non il potere contrattuale nelle fabbriche, ma la partecipazione alla co-determinazione delle leggi. Sul piano della politica internazionale fronteggiamo sulle sponde dirimpettaie del Mediterraneo la crisi libica, sempre più grave, e l’involuzione dell’eterna crisi mediorientale con Israele ossessionata dalla sfida araba. La crisi che sembra innestarsi in Russia preoccupa tutto l’Occidente, perché Putin è un politico imprevedibile e c’è da aspettarsi qualche colpo di teatro per fronteggiare la difficile situazione della sua economia.

In questo contesto ci sarebbe bisogno che l’Italia desse prova di una ritrovata coesione di fronte all’emergenza in cui si trova immersa. E’ ovvio che l’elezione del successore di Napolitano è il grande banco di prova per misurare la responsabilità della sua classe dirigente in generale.

Con un paese che probabilmente registra una disaffezione record verso la politica come testimonia il livello impressionante di astensionismo elettorale, il presidente della repubblica è la figura che, anche per dovere istituzionale (rappresenta l’unità nazionale), assume il ruolo di mediatore e timoniere nella tempesta attuale. Anche a prescindere da altro, il suo potere di sciogliere le Camere (sia pure sentiti i presidenti dei due rami del parlamento) è un’arma formidabile per il governo delle crisi politiche.

Ora quel che si vede attualmente è una lotta generalizzata per bruciare candidature autorevoli al solo scopo di attestare i poteri di interdizione di questo o quel gruppetto. Detto in termini chiari, tanto bullismo politico. Ovviamente non mancano figure autorevoli che potrebbero incarnare bene al Quirinale quel ruolo che abbiamo sommariamente descritto, ma, quale che sia il prescelto, donna o uomo che possa essere, sarebbe indispensabile venisse eletto a larghissima maggioranza in pochissime sedute.

Questo sarebbe il segnale che il paese ha “cambiato verso”. Che la attuale classe politica sia in grado di darlo c’è purtroppo da dubitarne. Speriamo almeno che ci sia una grande pressione dell’opinione pubblica che obblighi i più ad un ravvedimento operoso.

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