Il “parroco” di Santa Marta

“Resta la sensazione di trovarsi al cospetto di un uomo di Dio”

Il “parroco” di Santa Marta in Vaticano esce dalla sagrestia da solo con il suo passo oscillante. Si è dato il nome di Francesco, anche se si chiama Jorge Mario. Viene dall’Argentina. Da poco più di un anno è diventato vescovo di Roma, ma nella residenza dove abita – un albergo semplice e spartano – assomiglia a un curato di campagna, pur essendo in realtà il sovrano assoluto dello Stato più piccolo del mondo. Francesco è vestito di bianco. Non sono gli indumenti tipici del Papa bensì i paramenti liturgici del tempo di Pasqua. Nel giugno scorso ho avuto infatti la possibilità di partecipare alla Messa che ogni mattina Papa Francesco celebra in Santa Marta, un edificio ubicato dietro l’abside della Basilica di San Pietro. Tutto intorno è imponente e magnifico, ricchissimo d’arte, di storia, di bellezza. Ai miei occhi il contrasto con l’interno della residenza – tirato a lucido certamente, ma sobrio e “minimalista” – concretizza alla vista la presenza, concorde e armoniosa, di una Chiesa barocca e di una Chiesa “delle periferie”.

La prima emozione nasce da questo contrasto che si risolve in una positiva sintesi. I Sacri Palazzi, gli affreschi di Raffaello e Michelangelo, l’imponenza delle statue marmoree sembrano lontani. Eppure sono lì, a pochi passi. La compresenza di questi tesori sfarzosi con un luogo quasi disadorno colpisce, ma in un certo senso rassicura: nella Chiesa di Francesco c’è posto per tutti. Per le processioni solenni e per gli intimi colloqui. Per la grandiosità e per la piccolezza.

Anche l’atmosfera circostante parla di questa possibile concordia degli opposti, di questa armonia vivificante. Sono le sei di mattina di una giornata romana serena e già luminosissima benché, pochi minuti prima, soltanto un albeggiare lontano dava segno dell’imminente irrompere del sole. La stessa attesa sembra leggersi sui volti delle persone raccolte fuori dalla residenza, un gruppo non molto numeroso ma grandemente desideroso di poter accedere quanto prima alla Cappella dove il Papa celebrerà la Messa. La trepidazione aumenta.

Si entra, “scortati” da due guardie svizzere. Sembra di essere in un vecchio collegio: corridoi ampi, grandi finestre, soffitti alti, pavimenti a quadroni, le porte che si aprono sul refettorio… In silenzio ci si avvia alla Cappella. Anch’essa mi ricorda l’armonia degli opposti: architetture moderne, vetro e cemento, riescono a generare un clima di calore accogliente, di serenità meditativa. Tra i banchi finisco vicino ad alcuni giornalisti, credo che siano avvezzi di Santa Marta. Ridono e scherzano in tutta tranquillità. Con Papa Francesco non servono cerimonieri, basta dare agli astanti semplici comunicazioni relative allo svolgersi della funzione.

Così ritorniamo all’inizio, all’arrivo del Papa. All’apparenza è caduta qualsiasi aura sacrale che un tempo avvolgeva il Pontefice, ma Francesco trasmette un altro tipo di sacralità, non quella terrena di cui si ammantano i re per puntellare la loro autorità, ma quella trascendente che rimanda al mistero di Dio. Ancora un contrasto. Che si ripete nella figura del Santo Padre. Il Papa sembra stanco e sofferente, eppure lo sguardo è vigile e penetrante; la voce flebile si anima improvvisamente al momento dell’omelia, in quell’invito ripetuto di “tornare al primo amore”, alle fonti della fede, come aveva fatto Gesù risorto con i suoi discepoli, rimandandoli là da dove erano partiti, dalla Galilea. Parole che mi resteranno in mente una volta tornato a casa, nella mia “Galilea” quotidiana. Parole semplici, proprio per questo profonde e indelebili.

Finita la celebrazione, dopo un momento di preghiera silenziosa in fondo alla Cappella come un fedele qualsiasi, il Papa saluta uno a uno i suoi ospiti. Qualche minuto e arriva il mio momento. L’emozione è grande, certamente, ma nello stesso tempo il sorriso paterno e benedicente di Francesco stempera ogni senso di piccolezza, ogni timore reverenziale… Davvero sembra di incontrare un parroco amico, conosciuto molto tempo prima. Immediata però è la sensazione di trovarsi al cospetto di un uomo di Dio, proteso alle cose di Dio e proprio per questo così vicino agli uomini.

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