La porta stretta di Renzi

Inutile girarci intorno: il 2015 si apre con una sfida a tutto campo alla leadership di Matteo Renzi. I fronti di attacco sono molti, come molti sono i suoi avversari. Si va dalle critiche per l’uso degli aerei di stato per spostamenti di natura privata a quelle per l’infortunio su una norma fiscale che si ritiene possa rimettere in gioco Berlusconi, passando per le critiche consuete sui provvedimenti per il lavoro e in genere per i ritardi con cui si procede sulle riforme istituzionali.

In questo fuoco di fila le strumentalità abbondano. Per esempio la questione dell’uso dei voli di stato è una vecchia questione populista: in tutti i paesi del mondo gli spostamenti del capo del governo hanno rigidi protocolli di sicurezza (soprattutto di questi tempi) e quando per compiacere l’opinione pubblica si finge di usare i mezzi di trasporto normali, in realtà le misure di sicurezza che si debbono approntare costano altrettanto che l’uso dei mezzi riservati. Sulle riforme istituzionali non si procede lentamente, considerando la complessità della materia e la tortuosità dell’iter parlamentare necessario, semmai il problema è vedere se si arriverà alla fine, ma questo lo si potrà valutare solo fra qualche mese. L’infortunio della norma cosiddetta salva-Berlusconi nella riforma fiscale è poi il classico pasticcio all’italiana. Da un lato c’è la necessità di razionalizzare normative che per punire frodi fiscali vere finiscono per considerare tali ogni errore commesso; dal lato opposto c’è la domanda di mostrarsi inflessibili con chi evade in un paese in cui la moralità contributiva è molto ridotta. Risultato: ogni soluzione che si trova è un pasticcio sottoposto a critiche infinite, ma anche il lasciar tutto come è verrebbe parimenti criticato.

Il fuoco di fila a cui abbiamo fatto riferimento è però qualcosa di più dell’ordinaria dialettica, anche aspra, che interessa qualsiasi azione di governo. Infatti in tutto questo bailamme di attacchi l’obiettivo di dare un colpo pesante alla credibilità dell’attuale premier è più che trasparente.

Si prepara dunque la caduta dell’attuale esecutivo? A meno di incidenti di percorso, questo ci sembra sia da escludersi. Far cadere il governo Renzi significherebbe piombare in una crisi di sistema difficilmente gestibile per assenza di alternative e soprattutto molto pericolosa considerando il contesto internazionale (si son già visti gli echi sulle Borse di una paventata, ma non ancora realizzata svolta in Grecia…). Par di capire che per il momento l’obiettivo della battaglia politica sia più circoscritto: azzoppare il premier ridimensionandone il potere e certificare il successo di questa operazione in sede di elezione del successore di Napolitano.

E’ in questa operazione che infatti Renzi si confermerà o meno il leader della attuale fase politica. La partita si annuncia più che difficile, perché le pressioni dell’opinione pubblica (o di quelli che ne manovrano dei settori) sono molteplici: si vuole la donna, l’esponente della società civile, il politico navigato, l’economista consapevole e via dicendo. Sono tutti fuochi d’artificio che hanno per lo più l’obiettivo di accecare e confondere gli attori della partita quirinalizia.

Renzi tuttavia non è in una buona posizione. Da un lato come capo del governo in carica ha contro di lui la tradizione che non ha mai consentito al vertice dell’esecutivo di scegliersi il presidente della repubblica. Ovviamente c’è della ragionevolezza in questo, perché l’inquilino del Quirinale dura in carica sette anni e dunque dovrà misurarsi con ben più di un governo, anche diverso da quello esistente al momento della sua elezione. Dal lato opposto però Renzi è anche segretario del partito cardine del sistema (cardine almeno in questo momento) ed in quanto tale ha l’investitura necessaria per coagulare attorno alla quota di rappresentanza che è rappresentata dal PD altre quote di rappresentanza del paese. Qui però significa addentrarsi sul terreno scivoloso del compromesso fra forze dialetticamente opposte, cioè su un terreno che la mentalità (populista) diffusa giudica sinonimo di compravendita di ideali per garantirsi interessi di bottega.

Il premier deve dunque cavarsela in questo groviglio di contraddizioni riuscendo a mettere insieme la conservazione del suo primato di leadership con la nomina al Quirinale di una personalità che garantisca davanti al mondo la stabilità e credibilità che la politica italiana sta cercando di riguadagnare.

Un’impresa difficile e rischiosa, ma con cui non potrà evitare di misurarsi.

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