Sul quella barca confidando in Dio

Con il cuore ferito, verso un futuro migliore. In attesa del 2015 nel ricordo di chi ha perso la vita attraversando il mare

Sognano ad occhi aperti un futuro migliore, come del resto tutti i giovani, senza preoccuparsi troppo del domani, anche se nel cuore ci sono ferite profonde. Ballano, scherzano, manifestano tra loro una profonda amicizia. Sono i dodici ragazzi nigeriani, sbarcati a Lampedusa lo scorso ottobre, accolti assieme ad altri nel campo della protezione civile di Marco di Rovereto, e ospiti dal 25 dicembre all'oratorio Rosmini.

“Sono contenti della nuova sistemazione e si sentono un po' privilegiati rispetto a quelli rimasti al campo”, spiega uno degli operatori sociali che li segue. La sua è una delle famiglie che hanno compiuto il generoso gesto di invitarne due a pranzo il giorno di Natale, iniziativa lanciata dai decani della Vallagarina. Abbiamo avuto l'occasione di intervistare i dodici giovani durante la festa di Capodanno, organizzata appositamente per loro nella sala Cristina della parrocchia della Sacra Famiglia. Il più vecchio, Prince, ha trent'anni e dice scherzando di sentirsi “il nonno” del gruppo di cui fanno parte diversi ragazzi poco più che ventenni. “Ringraziamo gli italiani per averci accolti”, dice Prince che al suo paese studiava scienze politiche ed economia.

Sono fuggiti dalla Nigeria a causa delle violenze perpetrate dal gruppo terrorista islamico Boko Haram. “Uccidono, feriscono, usano l'esplosivo, vogliono costringere i cristiani a convertirsi all'islam”, raccontano alcuni. Uno di loro mostra le foto di ferite che afferma di aver ricevuto sulla testa e sul collo. Sono preoccupati per le proprie famiglie rimaste nel paese africano.

Terry ha lasciato nel suo Paese una sorella, dice di essere arrivato in Italia con il fratello gemello, ora a Milano, di cui ci mostra una foto. “Italy is very nice, l'Italia è molto bella”, aggiunge, dicendo di sognare di rimanere qui per sempre. In Nigeria, Sunday faceva l'operaio edile: “Mi piacerebbe continuare con questo lavoro”. Chiediamo quale rotta ha seguito per arrivare in Italia. “Tre giorni di deserto, attraverso il Niger e poi in Libia”, risponde. Una trentina di persone sono state ammassate su un furgone pick-up e poi su di un natante, anch'esso strapieno, alla volta di Lampedusa. Avete avuto il coraggio di salpare – chiediamo – nonostante la paura? “Che scelta avevamo? Lo abbiamo fatto confidando in Dio”, rispondono. Manifestano una fede profonda, Dio viene citato spesso, una parte di loro è cattolica, gli altri pentecostali.

Poco prima dello scoccare della mezzanotte, si mettono in cerchio, tenendosi per mano: con una preghiera formulata da don Sergio Nicolli viene inaugurato il nuovo anno, con l'auspicio che sia migliore per tutti, soprattutto per loro, e il ricordo di chi in ricordo di chi ha perso la vita attraversando il mare. Un momento di commozione: qualcuno si è inginocchiato, si è disteso a terra, piangendo per gli amici persi.

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