“La mia vita”: firmato Carlo Sartori

Comano Terme. “Oggi è il 7 aprile 1980 e penso ad un lontano giorno del mese di maggio. Dico lontano perché sono trascorsi 59 anni. Non che me lo ricordi, penso di figurarmelo….”. Inizia così l'autobiografia del pittore Carlo Sartori, nato nel 1921 e scomparso cinque anni fa, il 5 maggio 2010. Un'autobiografia completamente inattesa, dato anche il carattere riservato e solitario del pittore di Godenzo (Lomaso), un personaggio entrato da tempo nelle hit-parade delle quotazioni per i suoi quadri sulla vita contadina e montanara delle valli alpestri.

Un'opera – quella curata da Roberta Bonazza e Susanna Sieff – destinata a suscitare vasto interesse, tratta da tre quaderni scritti a mano da Carlo, mai pubblicati e tantomeno letti, che sarà presentata sabato 24 gennaio alle 17,30 nella sala pubblica del municipio di Ponte Arche, alla presenza delle curatrici e dei membri della Fondazione “Carlo Sartori”.

“Autobiografia e autoritratto”, la postfazione di Roberta Bonazza mette in relazione l'autobiografia con l'autoritratto, in quanto il pittore impasta abilmente le parole in una narrazione che attraversa la vicenda umana. Che cosa emerge dalla scrittura di Carlo Sartori? Anzitutto la sua curiosità, la partecipazione affettiva agli avvenimenti, unite alla capacità di descrivere i luoghi nella loro verità. Eppoi una sottile ironia che rende fresche e prive di retorica le vicende: la difficile infanzia a Ranzo, la giovinezza a San Lorenzo, la prime prove a Godenzo, quindi la vita militare e il campo di concentramento in Germania dopo l'8 settembre!

Gli autoritratti di questi anni svelano il desiderio dell'altro Sartori, slegato dalla dimensione locale, il contadino-imbianchino, per proiettarsi verso l'arte. Tolta la divisa del soldato e la casacca del prigioniero Carlo è pronto a camminare nella direzione della sua arte: “L'imbianchino non è la mia meta”, scriveva nel 1950. “Non sarà altro che una fase della battaglia che ho ingaggiato con l'avverso destino, per aprirmi la via e giungere alla vetta e cioè l'arte”.

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