Renzi, fase due?

Naufragato malamente l’accordo per le riforme fra Renzi e Berlusconi (perché di questo si trattava più che di un accordo fra PD e FI) tutti si chiedono se si apra o meno una nuova fase nella nostra vita politica. Domanda pertinente, in quanto la dissoluzione del “patto” non è dipesa da una sua “violazione”, ma dalla diversa interpretazione che le due parti ne davano.

Renzi l’ha sempre inteso come una via per ridisegnare la struttura delle “regole del gioco” nel nostro sistema politico. Sapendo come tutti i precedenti tentativi di riforma erano falliti, ha ritenuto che bisognasse blindare l’operazione con una legittimazione ad ampio raggio che coinvolgesse quelli che potevano essere i due cardini del sistema, cioè il centrosinistra e il centrodestra.

Ha sottovalutato il fatto che Berlusconi puntava ad altro. Per lui l’obiettivo non è mai stato quello di riformare in maniera ragionevole il sistema politico, ma quello di riaffermare la sua personale posizione, di riguadagnare un peso determinante sulla scena politica, il che, nella sua visione che non è mai stata lungimirante, poteva solo consistere nel riaffermare che in Italia per qualsiasi risultato era necessario passare dal suo placet. Ovviamente l’elezione del presidente della Repubblica era l’occasione principe per mostrare al paese questa rinnovata centralità.

Renzi ha capito alla fine che il gioco era quello e si è sottratto, perché non gli conveniva uscire dalla partita come un premier sotto condizione. Ha consentito a convergere su un candidato che avesse quelle caratteristiche che il centrodestra aveva indicato (era poi quello che andava bene anche a lui), ma ha riservato a sé stesso la scelta della persona ed ha lasciato a Berlusconi solo il ruolo di chi si associava al disegno di un altro.

Se si leggono le cose in quest’ottica si capisce che il patto del Nazareno non è ricostruibile, almeno non come lo intendeva Berlusconi e come, ingenuamente, lo avevano dipinto gli avversari del premier. L’acciaccato leader di Forza Italia non ha adesso altra strada che tentare di ribaltare il tavolo e distruggere la leadership del giovane concorrente. Solo che, paradossalmente, non ha altra arma per tentare l’impresa che quella di mettersi al seguito di chi gli sta sottraendo la guida della destra, cioè di consegnarsi a Matteo Salvini.

E’ una scelta disperata, perché, lo si voglia o no, per il suo obiettivo Berlusconi deve rinunciare a quello che è stato il suo vago, ma sino ad un certo punto vincente progetto: essere il capo dei “moderati” italiani. La Lega di Salvini tutto è tranne che un esempio di ragionevolezza e di moderatismo: è il populismo becero della destra che cavalca, con abilità bisogna riconoscerlo, le paure degli italiani.

Ora la faccenda diventa politicamente complicata. Si può infatti dubitare che quelle classi dirigenti che si erano intruppate nel berlusconismo trionfante siano ancora disponibili a seguirlo in questa deriva. Il vecchio leader può tirarsi dietro un po’ di elettorato tradizionalista e un manipolo di pretoriani, ma non è in grado di mostrarsi come in passato nei panni di quello che sfrutta i consensi della destra populista ma per inquadrarli in una politica di “aggiustamenti all’italiana”. Non lo può più fare per tre ragioni: 1) perché la situazione generale non è più quella dell’ottimismo dei bei tempi andati, per cui c’è poca fiducia che ci si possa barcamenare alla buona, ciascuno facendo gli affari suoi; 2) perché tutti hanno visto che lui non è più in grado di tenere sotto controllo nulla, nemmeno il suo partito; 3) perché manca di qualsiasi ricetta credibile per portare il paese fuori dalla crisi.

E’ qui che comincia la fase due di Renzi. Infatti a questo punto non può più puntare ad un passaggio di riforme che coinvolga l’ampio centro del sistema politico e che grazie a ciò porti ad un quadro “pacificato” in cui sia possibile governare l’emergenza senza troppi rischi. E’ invece costretto ad accelerare nel far convergere direttamente nel suo partito tutte quelle forze che sono disponibili a condividere il disegno dell’adeguamento del sistema-Italia a quanto richiesto dalla grande crisi in corso. Si deve assumere tutti i rischi dell’operazione e non è detto che se la porterà alla fine sarà ancora in grado di riceverne tutti gli onori.

In più deve condurre la sua nave in porto sfidando le tempeste di un populismo gonfiato, a destra come a sinistra, dai venti tumultuosi che spirano in Europa. Una situazione tutt’altro che facile.

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