“Giù la maschera”

Al CTS la terapia passa dal teatro

Nei giorni caldi del carnevale sembra quasi spirare controvento il laboratorio teatrale “Giù la maschera” rilanciato nell'ambito delle attività terapeutiche del Centro Trentino di Solidarietà. La maschera in questione, si intuisce facilmente, è ben altro rispetto al travestimento dei giorni “grassi”. Lo possono testimoniare i quarantacinque ospiti e gli operatori del CTS divisi fra Casa Lamar, Casa Giano e appartamenti protetti. E ancor più quanti, fra loro, hanno dato vita alla “Compagnia dei bambini sperduti”, frutto appunto della volontà di riprendere un percorso di teatro-terapia comunitaria già sperimentato con successo nel recente passato. «È un progetto terapeutico – spiega il dottor Antonio Simula, direttore dal 2008 del CTS – che ha come obiettivo fondamentale quello di offrire agli attori-pazienti di confrontarsi rispetto alle proprie storie di vita ma anche quello di aiutarli a “ricostruirsi” nel proprio futuro. Un altro obiettivo è l’apertura al territorio e la lotta al pregiudizio». Un’apertura che si concretizza sia nel momento della presentazione dello spettacolo conclusivo alla popolazione in luoghi significativi per i legami instaurati in questi anni, dalla città alla periferia – ecco la scelta dei Teatri San Marco, Padergnone in Valle dei Laghi e Gardolo – ma anche aprendo le strutture alla popolazione, in particolare ai ragazzi delle scuole superiori e dell’università che diventano parte attiva dei laboratori.

L’ultimo risultato in ordine di tempo è lo spettacolo “Un regalo per te”, testo e regia di Michele Torresani. «E’ uno spettacolo – spiega ancora Simula – che richiama il tema della gratuità e del dono come filo rosso tra i possibili scenari di vita immaginati per la propria figlia da una coppia di genitori. È una divertente messinscena con un registro comico e una trama che può essere vista come metafora dei personali percorsi di realizzazione dei desideri di vita scelti o imposti dagli altri e delle frustrazioni che ne possono essere conseguite compiendo un percorso accidentato».

Tornando al valore terapeutico del teatro, Simula si schernisce: «Non l’ho certamente inventato io. Già nell’antica Grecia Aristotele parlava di funzione catartica del teatro. Nel ‘700 il marchese De Sade, rinchiuso nel manicomio di Charenton, allestiva lavori teatrali nei quali recitavano i pazienti. Una parte del teatro si muove, dunque, già da tempo verso le situazioni di margine, i luoghi di disagio come carceri, case di cura, comunità per tossicodipendenti, comunità di accoglienza, centri per disabili, centri di aggregazione giovanile, fino alla strada. Questa del teatro è per i pazienti-attori un’occasione di vivere emozioni, ansie che solitamente sono abituati a anestetizzare con le sostanze, ma anche esperienze euforizzanti che solitamente sono abituati a ricercare con sostanze eccitanti».

Utenti e operatori, si diceva, insieme sul palco. A cominciare dal direttore Simula che si mette in gioco in prima persona per stimolare una partecipazione mai scontata. «Ogni anno – ammette – i ragazzi tendono a partecipare con fatica. Ma già in fase di laboratorio teatrale si inizia a formare spirito di gruppo, si aspetta sempre con impazienza l’appuntamento settimanale. Il gruppo dà grande forza». Il direttore-attore Simula lascia la sala prove e la maschera di scena per riprendere gli abiti di sempre, ma senza schizofrenie: «Perché il teatro – conclude – mi permette di liberarmi dal ruolo approcciando gli utenti in modo davvero nuovo e creativo».

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