L’Asia che discrimina

Il dibattito sui diritti delle persone omosessuali e il riconoscimento legale delle coppie gay

“Il Vietnam riconosce legalmente le coppie omosessuali”. La notizia, battuta all’inizio dell’anno dalle agenzie di stampa, appariva in controtendenza rispetto alla situazione di parecchi Paesi dell’area asiatica (e non solo).

Luca Penasa, volontario del Gruppo Trentino di Volontariato (GTV) che attualmente si trova nella capitale politica Hanoi, racconta una storia diversa: “Il Vietnam non ha legalizzato le coppie gay. Ha semplicemente rimosso la proibizione di organizzare la festa di matrimonio. Mi spiego. Prima, se due gay celebravano il matrimonio – che in Vietnam significa organizzare una festa, non ha nulla a che fare con la registrazione legale -, arrivava la polizia ad interrompere la cerimonia e a sanzionare con una multa. Ora queste sanzioni sono state rimosse, ma le coppie gay, anche se celebrano il ‘matrimonio’, non ottengono in ogni caso un riconoscimento legale”.

La faccenda può sembrare un po' difficile da capire, se non si comprende che la cerimonia di matrimonio, in Vietnam, non è l'atto che istituisce l'unione tra i due coniugi, ma solo il momento della festa, della presentazione pubblica. “È così – spiega Penasa -. Il certificato di matrimonio viene rilasciato in separata sede”. Quindi due gay ora possono organizzare la loro festa di matrimonio senza incorrere in sanzioni, ma non otterranno alcun certificato di matrimonio con i conseguenti diritti e doveri.

“In generale – continua Penasa – in questi anni ho notato una maggiore apertura all’omosessualità, perlomeno in città”. Dal 2012 ad Hanoi si svolge la Gay Pride Parade. “Il primo anno era una manifestazione svolta in sordina, ma chi vi ha preso parte negli anni successivi mi riferisce che ora è cresciuta molto”. Sui giornali si parla di diritti dei gay, vi sono artisti che producono opere e organizzano esposizioni al riguardo, ci sono bar dichiaratamente per gay. “Si può dire che qualcosa si sia mosso negli ultimi anni”, osserva Penasa. “Tuttavia non so dire quanto questa coscienza sia diffusa a livello nazionale, dato che la situazione nelle campagne è molto, molto diversa”.

Un cambiamento di rotta, quello in Vietnam, che appare isolato. La condizione di omosessuale rimane un reato in una settantina di Paesi al mondo ed è punita in diversi modi. Solo per limitarsi al continente asiatico, si va dalla condanna a morte (in Pakistan è prevista la lapidazione), alle frustate (Maldive, Iran), alla pena dell’ergastolo (Bangladesh, Birmania), al carcere (nella maggior parte dei Paesi asiatici). In India, alla fine del 2013 la Corte Suprema ha ripristinato la legge che vieta l’omosessualità, in quanto “reato contro la natura” (nel 2009 l’Alta corte di Delhi si era espressa in maniera esattamente opposta).

In India, alla fine del 2013 la Corte Suprema ha ripristinato la legge che vieta l’omosessualità – risalente al periodo coloniale britannico -, in quanto “reato contro la natura” (sconfessando l’Alta Corte di Delhi che nel 2009 si era espressa in maniera esattamente opposta). In quell’occasione, all’agenzia AsiaNews il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana, aveva dichiarato che “la Chiesa cattolica si oppone alla legalizzazione dei matrimoni gay, ma insegna che gli omosessuali hanno la stessa dignità di ogni essere umano e condanna ogni forma di ingiusta discriminazione, persecuzione o abuso”.

In questo quadro, fa eccezione Taiwan, Paese che per primo in Asia ha aperto la discussione sui diritti delle persone omosessuali e il riconoscimento delle coppie gay. Una proposta legislativa in materia ha iniziato il suo iter nel 2003, rimanendo poi bloccata in parlamento. Oggi la situazione è ancora piuttosto indefinita. Le ultime proposte vorrebbero introdurre un nuovo approccio al concetto di famiglia, prendendo in considerazione vari aspetti: il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la tutela legale delle coppie e il concetto di famiglia allargata. Un sondaggio realizzato nel 2013, l’ultimo disponibile, mostra che il 76% della popolazione è a favore della parità di diritti e il 53% appoggia il matrimonio omosessuale.

Ma Taiwan resta comunque un’eccezione. Per questo l’idea che in Vietnam qualcosa cominci a muoversi appare come un segnale. E non solo in Vietnam: anche la Repubblica popolare cinese nel 2013 ha ammesso le unioni civili tra persone dello stesso sesso per gli immigrati nella municipalità di Pechino.

Fa riflettere che cominci ad avviarsi un dibattito, e anche qualcosa di più, su questi temi proprio nei due Paesi più problematici dell’area sotto molti punti di vista, come la libertà di espressione: il rapporto annuale sulla libertà di stampa in 180 Paesi del mondo, realizzato da Reporter Senza Frontiere e relativo al 2014, colloca Vietnam e Cina rispettivamente al 174° e al 175° posto.

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