Il Tfr in busta paga: pochi, maledetti e subito?

Entro marzo i lavoratori dipendenti del settore privato possono scegliere

Meglio mangiare l'uovo di qualche euro in più direttamente in busta paga, o attendere la conclusione della vita lavorativa per papparsi la gallina nel frattempo cresciuta e – si spera – ingrassata? Davvero un bell'interrogativo da sciogliere per i lavoratori dipendenti del settore privato – esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo -, che dal mese di marzo prossimo potranno scegliere se ricevere il proprio Tfr (il trattamento di fine rapporto, la liquidazione) in busta paga ogni mese, oppure se continuare a lasciarlo in azienda o destinarlo ad un fondo pensione, com'era fino ad oggi. C'è da rischiare la fine dell'asino di Buridano, nella scelta.

Il presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, che ha voluto il trasferimento del Tfr in busta paga all’interno della legge di stabilità 2015, la sua l’ha detta: sono soldi dei lavoratori, “che però vengono dati tutti insieme alla fine da uno Stato-Mamma” che sembra “non fidarsi dei lavoratori-figli”. E allora è giusto ridare la scelta ai lavoratori: che siano loro a decidere, è il succo del Renzi-pensiero, che sull’operazione conta come volano per rilanciare i consumi stagnanti dell’asfittica economia italiana.

Sul fatto che in ballo ci siano soldi del lavoratore, nessun dubbio: il Tfr è la somma – costituita da un accantonamento da parte del datore di lavoro di una somma equivalente al 6,91% della retribuzione – che spetta al lavoratore, che la riscuote al termine del rapporto di lavoro (alla scadenza del contratto di lavoro o al momento della pensione); una forma di “risparmio forzoso” nato come protezione dei periodi di disoccupazione, e trasformatosi poi in risparmio previdenziale, almeno per chi resta a lungo con lo stesso datore di lavoro. Con l'entrata in vigore della legge di stabilità 2015, che ha appunto introdotto, in via sperimentale, la possibilità, per i dipendenti del settore privato, di richiedere l’erogazione del Tfr in busta paga, non è più così, l'obbligo al risparmio viene meno e il lavoratore ha un'effettiva possibilità di scelta.

Sulle effettive ricadute dell'operazione sui consumi, invece, e sulla convenienza per il lavoratore le scuole di pensiero sono diverse.

Chi è favorevole all'operazione “Tfr in busta paga” sottolinea l'aumento della liquidità delle famiglie e la possibile spinta ai consumi, rimarca la volontarietà dell’operazione, evidenzia l'assenzadi costi per le imprese (per le quali i soldi accantonati per il Tfr rappresentano attualmente una comoda fonte di finanziamento).

Chi è contrario sottolinea il vincolo triennale per il lavoratore (fino al 30 giugno 2018: solo dopo quella data si potrà scegliere se destinare nuovamente il Tfr a un fondo pensione piuttosto che lasciarlo in azienda), evidenzia l’aumento di imposta anche nei redditi bassi e lamenta il fatto che si finisca per penalizzare il risparmio previdenziale da convogliare nei fondi pensione e nella previdenza integrativa; un controsenso, ripete chi ha forti dubbi che l’operazione possa davvero rappresentare uno stimolo per l’economia: ma come, si obietta, solo pochi anni fa è stato chiesto di devolvere il Tfr ai fondi pensione (il secondo pilastro del sistema pensionistico italiano, che si affianca alla previdenza pubblica obbligatoria, finanziata dai lavoratori e dai datori di lavoro) e ora spingiamo a spenderlo?

“Meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Il consiglio che mi sento di dare è di ponderare attentamente se vi sia la reale necessità di ricevere il Tfr in busta paga -, suggerisce l’assessora regionale alla previdenza, Violetta Plotegher – anche perché la scelta, una volta effettuata, sarà irrevocabile fino al 2018 e può incidere pesantemente sulle risorse economiche disponibili una volta in pensione”. Secondo i calcoli di Pensplan (vedi tabella), un lavoratore con un reddito lordo annuo di 20.000 euro che sceglie di farsi erogare il Tfr in busta paga perderà in tre anni oltre 800 euro rispetto alla scelta di versare il Tfr in un fondo pensione complementare, mentre perderà circa 170 Euro se deciderà di lasciarlo in azienda.

“Chi sceglie il Tfr in busta paga valuti bene gli svantaggi che ne derivano dal punto di vista fiscale”, osserva Franco Ianeselli della segreteria della Cgil, che siede nel consiglio di amministrazione di Laborfonds, il fondo pensione chiuso riservato ai lavoratori dipendenti delle imprese operanti in Trentino – Alto Adige. “Per la gran parte dei lavoratori, quelli che percepiscono più di 15 mila euro annui lordi, non conviene”. Detto che comunque la scelta spetta al singolo lavoratore, che è libero di decidere come crede, la conclusione di Ianeselli è che è meglio aderire a un fondo pensione. L’importante, rimarca, è arrivare preparati al momento di una scelta che ha un impatto significativo sul futuro previdenziale di ciascuno. “Per questo abbiamo sollecitato la Regione ad avviare una grande campagna informativa”. Ci penserà Pensplan, che ha programmato una serie di incontri sul territorio. Si comincia giovedì 19 febbraio alle 20.30 nella Sala di Rappresentanza del Consiglio Regionale in Piazza Dante a Trento. Gli altri incontri a Rovereto (2 marzo, ore 20.30, Museo Civico in Borgo Santa Caterina, 41) e a Cles (16 marzo, ore 20.30, Sala Polifunzionale della Cassa Rurale di Tuenno-Val di Non in via Marconi, 58).

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