Agricoltura familiare, non è l’araba fenice

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Riprendiamo l‘argomento proposto dall’Onu per l’anno 2014, perché né a livello mondiale né in Trentino è stato sufficientemente dibattuto, per sollecitare interventi mirati a favorire questa entità produttiva

“Che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Il verso è del Metastasio, poeta del 18° secolo, e si riferisce all’uccello sacro e favoloso degli egiziani.

E‘ divenuto proverbiale e si applica a persone o cose che non si trovano o che sono più uniche che rare.

Nel dizionario pratico di agricoltura (Utet 1930) troviamo invece che fenice è il nome di una razza di gallina originaria del Giappone che si alleva per ornamento. Se nella seconda definizione mancasse la destinazione (gallina da uova o da carne, anziché animale da giardino), non avremmo dubbi nell’attribuire all’azienda agricola famigliare la versione più realistica e popolare del nome fenice.

E’ partita dall’ONU (Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite fondata nel 1945) il 20 novembre del 2013 la proposta di dichiarare il 2014 anno internazionale dell’agricoltura familiare. Quando l’Onu decide di dedicare l’anno ad un tema di portata internazionale, lo fa per richiamare su di esso l’attenzione del Governi sollecitandoli a trovare soluzioni adeguate, ma anche per porlo all’attenzione della gente perché ne prenda conoscenza e coscienza. In Italia a raccogliere la proposta delle Nazioni Unite è stato il CISA, Comitato italiano per la sovranità alimentare che sottende una rete di oltre 270 associazioni. Esso aveva il compito di individuare i connotati distintivi e la dimensione dell’agricoltura familiare ed indicare termini e modi per riconoscere a questo tipo di azienda un profilo sociale e politico identitario.

In Trentino si è mossa per prima Elisabetta Monti, titolare di una piccola azienda agricola multifunzionale che si trova a Mezzomonte di Folgaria. Diplomata perito agrario all’istituto tecnico di S. Michele, in passato ha svolto attività di orientamento e guida a favore di due associazioni di piccole aziende marginali: Mosaico (piccoli produttori di montagna) e Florére (produttori piante officinali e aromatiche del Trentino).

Per raccogliere adesioni e collaborazione in almeno una delle tre attività programmate (comunicazione, ricerche sul territorio, contatto con gli organi politici), Elisabetta Monti ha chiesto appoggio all’Associazione Trentino Arcobaleno riconosciuta dalla Provincia di Trento.

Le adesioni non sono state molte. Gli incontri si contano sulle dita di una mano. I risultati sul piano organizzativo e legislativo sono inesistenti.

Nel frattempo l’ONU ha dichiarato il 2015 “Anno internazionale dei suoli”. Non è detto con ciò che almeno in Trentino il tema dell’azienda agricola familiare debba essere abbandonato. Il primo lavoro da fare riteniamo sia quello di definire i termini chiari e con parametri oggettivi il profilo socioeconomico e tecnico dell’azienda agricola familiare.

Per Elisabetta Monti si tratta di far passare la figura del contadino che produce per l’autoconsumo e per la vendita diretta di una parte dei suoi prodotti.

Ma in quali termini e entro quali limiti?

Conviene affidare il compito ad un economista agrario che conosce bene l’agricoltura trentina e la politica agricola e sindacale portate avanti dagli anni ’50 ad oggi.

Il prof. Geremia Gios, dell’Università di Trento e sindaco di Vallarsa, è a nostro avviso, la persona più adatta.

Nel numero di dicembre di Vita in campagna, mensile di agricoltura part-time pubblicato dal gruppo editoriale l’Informatore agrario troviamo un illuminante articolo di Giorgio Lo Surdo intitolato: “Le piccole aziende agricole: un’ eccellenza italiana da difendere”. L’autore invita i decisori politici a non ripetere l’errore della grande industrializzazione, quando si è puntato sulle grandi industrie per poi costatare che la parte più resistente e dinamica della nostra economia sono le piccole e medie imprese. Le regole economiche convenzionali dicono che è l’azienda agricola grande a realizzare meglio le economie di scala ed è quindi vincente. Se prendiamo come parametro discriminante il solo reddito, questo principio trova riscontro anche in Trentino almeno nelle zone caratterizzate da frutticoltura e viticoltura intensiva o da altre coltivazioni di pregio. Le aziende familiari da salvare e sostenere le troviamo invece prevalentemente in montagna o nelle zone marginali. Si tratta di piccole aziende che in futuro forse dovranno essere compensate dall’ente pubblico per il contributo che danno alla salvaguardia dell’ambiente, alla biodiversità, alla fornitura di prodotti salubri e al turismo, non solo di eccellenza, ma anche familiare e sociale.

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