La rivolta dei Tesini

Il Tesino tra storia e leggenda, come ogni cinque anni. Accompagnata da una leggera nevicata, la settimana scorsa l'intera conca ha ospitato la rievocazione storico-carnevalesca del Conte Biagio delle Castellare.

Sono trascorsi sei secoli e mezzo da quando, nel 1365, un gruppo di Tesini armati di bastoni, forche e altri arnesi rudimentali, prima a Grigno e poi a Castel Ivano, avevano cercato di catturare il tiranno per processarlo e giustiziarlo. Ma Biagio riuscì a sfuggire alla cattura ed alla popolazione indignata non restò altra soddisfazione che quella di sottoporre al giudizio della comunità un fantoccio di paglia con le sembianze del conte. Il capitano Biagio era un uomo di fiducia di Francesco da Carrara che, per difendere il castello di Pergine dall’assalto di Siccone di Caldonazzo, alleato di Carlo IV, nel 1356 si rivolse alla comunità tesina la quale, però, gli negò uomini, cavalli e viveri. Dopo essere stato sconfitto dai duchi d’Austria e, adirato per non essere stato aiutato dai tesini, Biagio saccheggiò e bruciò Castello, Pieve e Cinte vessando la popolazione con ogni sorta di angherie. Nove anni di soprusi inauditi, violenze, vessazioni, omicidi e stupri. Ma nel 1364 i Tesini, nel frattempo alleatesi con Francesco da Carrara, cercarono vendetta contro Biagio passato al soldo dei nobili d’Austria. Nonostante pretendessero la testa di Biagio, Francesco da Carrara negò la consegna dell’ostaggio. Nacque così la storia-leggenda per giustiziare, il primo giorno di Quaresima di ogni anno, un fantoccio con un processo in contumacia.

Una manifestazione, tra le più significative e complete nell’ambito della cultura popolare italiana ed europea, che mobilita l’intero altopiano. I ruoli di attori e comparse si tramandano di generazione in generazione, di padre in figlio, secondo un copione che, dopo la cattura del conte da parte della polizia segreta (quest’anno avvenuta il martedì grasso in piazza a Strigno), celebra il processo al tiranno. Partendo da Castello il corteo con figuranti, le guardie a cavallo e gli armigeri, i cortigiani, i boia incappucciati, la polizia segreta, Biagio (interpretato da Giorgio Rippa) e la sua famiglia con la “Biagia” interpretata da Renato Sordo (la principessa Cicchen), i testimoni e i tre rappresentanti dei ‘Diritti Antichissimi’ raggiunge Pieve. Qui il presidente della corte (quest’anno interpretato da Glauco Gadotti) interroga i testimoni e annuncia la sentenza di morte; il pubblico ministero (Paolo Boschetti) legge l’atto di accusa; l’avvocato difensore (Antonio Giacomelli) lo difende. Sono poi presenti due testimoni di accusa (Jijo Mescola, derubato delle galline e Toni Renga, derubato della moglie) ma non c’è alcun testimone della difesa. Così il processo viene aggiornata e si torna a Castello. Qui le invettive contro il tiranno si fanno sentire. Forche e forconi alzati al cielo in piazza Crosara secondo un testo trascritto nel 1947 da Emilio Busarello. Di fronte alla chiesa di San Giorgio parla Nane Narò, beneficiato dal conte, che tenta anche di corrompere con denaro e gioielli le guardie. Poi, improvvisamente, il Biagio fugge nelle vie interne del paese con la polizia segreta che lo insegue e scambia le sue vesti con un fantoccio di paglia. Il fantoccio viene trascinato davanti alla corte per la sentenza e, poco dopo, messo al patibolo. Sono le 13.30 quando, anche quest’anno, il giudice supremo esclama: “Mortus est el conte Biagio. Giustizia è fatta. Si butti la pasta!”. La storia della manifestazione è segnata anche dal fatto che l’autorità religiosa contestava il mancato rispetto dell’inizio della Quaresima. E tra il 1928 ed il 1947 venne proibita anche dalla questura di Trento. Per i tesini la bizzarra tradizione rappresenta soprattutto una solenne protesta della ragione armata contro la prepotenza e la violenza dei despoti: è la rievocazione del Biagio delle Castellare, una tradizione tesina di cui gli abitanti di Castello, Pieve e Cinte sono orgogliosi e gelosi. Da ben 650 anni!

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