“Se doni la vita, la trovi…”

Nell'Anno della Vita Consacrata la testimonianza di suor Maria Chiara Bosco, clarissa a Gerusalemme

Nel cuore ormai dell’Anno della Vita Consacrata, ripercorriamo nel monastero delle Clarisse di Gerusalemme la vocazione di suor Maria Chiara Bosco, maturata durante il periodo universitario prendendo parte attiva al gruppo di pastorale giovanile di Rovereto, animato da don Jean Rebellato. Si racconta, ripensandosi allora, come “una brava ragazza trasgressiva”: da adolescente ho avuto anch’io il mio ragazzo, ma poi le nostre strade si sono divise”.

Il suo cammino spirituale nelle prime tappe da che cosa è stato caratterizzato?

Dall’incontro con la Parola di Dio con una connotazione precisa: una Parola meditata, pregata, condivisa con i coetanei negli incontri settimanali di Rovereto e messa a servizio in oratorio. Ho scoperto la fede in maniera sempre più personale e motivata. Cercavo di maturare una unità interiore della Parola di Dio, passando attraverso una vita di fede, accettando la fatica della riscoperta in una maniera che voleva essere sempre più personale e valorizzando i Sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia.

E i suoi coetanei di Rovereto cosa dicevano all'epoca?

Tanti hanno capito la mia scelta e l’hanno rispettata sinceramente. Altri purtroppo no. Bellissima è stata la mia esperienza scolastica al “Fontana”, sia con i compagni (eravamo solo tre ragazze!) che con i professori.

Il suo rapporto con la Chiesa?

Ho riscoperto la bellezza di essere nella Chiesa e qui cercavo il mio posto conquistata dalla misericordia di Dio. Sentivo che il passato, il presente e il futuro apparteneva a Lui.

Come ha conosciuto le Clarisse?

La prima volta ancora da adolescente, a 14 anni, il giorno della fondazione del monastero di Borgo Valsugana, era il 25 agosto 1984. Partecipai a quell’importante avvenimento con tutta la mia famiglia, invitati da un frate.

Da quanti anni vive in monastero?

Complessivamente 16 anni: 9 anni a Borgo Valsugana, 7 anni a Gerusalemme.

Come si svolge una normale giornata in monastero?

E' scandita di ritmi di preghiera propri della Chiesa, dall’ufficio delle letture alla compieta, sia in lingua italiana, ma anche latina, francese. ebraica e musulmana:

alle 5,30 alzata; dalle 6 alle 9 in coro per la preghiera comunitaria e per quella personale, poi S. Messa; dalle 9 alle 12 lavoro in varie modalità: cucina, bucato, infermeria, giardino, preparazione delle particole, foresteria per gli ospiti e per i pellegrini, artigianato (candele e oggetti di cuoio), ore 12 ora di sesta, quindi pranzo comunitario (in silenzio, con l’ascolto della lettura di testi di spiritualità, per esempio la parola del Papa); 15 ora di nona, tempo per il lavoro, la formazione, prove di canto; ore 17 adorazione eucaristica per due ore con rosario e vespri; 19 cena, ricreazione assieme e tempo di fraternità; ore 20,45 compieta (in ebraico)

Quali compiti specifici svolge Mariachiara svolge con le altre otto suore del monastero?

Sono maestra nei confronti delle suore più giovani. Poi svolgo il compito di infermiera, archivista e vicaria della abbadessa. E altre piccole cose ancora.

Che cosa arricchisce la sua giornata?

Prima di tutto l’Eucarestia, poi la Parola di Dio meditata, pregata, gustata. Il servizio fraterno di una piccola comunità internazionale; siamo nove suore di tre diversi paesi: Francia, Ruanda, Italia; le più giovani hanno 26 e 35 anni; le più anziane 61 e 93 anni con 70 anni di professione religiosa; ci sentiamo impegnate a costruire una comunità autentica, vivendo veramente in comunione le une con le altre; c’è una vera vita che cerchiamo di far circolare fra di noi, una vita costruita su l’ascolto, l’accoglienza vicendevole delle diversità: dietro ogni parola c’è una terra, una storia, una cultura. L’internazionalità si esprime specialmente nella liturgia, ma anche nella cucina. Se tu la vita la doni, la trovi. Io personalmente come donna ho bisogno di un dono attivo – non solo contemplativo – fa parte del mio cercare Dio.

Quali sono le caratteristiche distintive e allo stesso tempo portanti della vostra vita?

La nostra è una vita monastica, non eremitica, secondo il carisma francescano. La vita fraterna è uno dei pilastri specifici. Il silenzio fa parte del clima per contribuire a costruire questa fraternità e per custodire un clima di preghiera.

Quali sono le difficoltà della vostra vita monastica?

Quelle di riuscire a lasciarsi integrare a vicenda. Siamo una piccola comunità internazionale e quindi impegnate a conoscere e valorizzare le diversità culturali.

Siamo tutte straniere in terra straniera -da un momento all’altro ci potrebbe essere tolto il visto – e siamo chiamate a essere famiglia. Il nostro monastero è in un contesto di popolazione ebrea e musulmana: il territorio non ti è di aiuto, anzi può esserci diffidenza o anche ostilità.

In che cosa consiste la bellezza della vita monastica?

E' il Signore in prima persona che riempie la vita, una vita unificata in Lui con la preghiera. Puoi bussare immediatamente al cuore di Dio e portargli il grido dell’umanità.

Quanto conta la preghiera?

Se togli l’aria comprendi subito la sua importanza; così se togli la preghiera. Senza la preghiera ti trovi senza un orizzonte di vita, di luce. Ti trovi senza il centro che consente unità e senso alla vita stessa. Pregare è ricevere la vita da un Altro. La preghiera non produce, ma genera. Di fronte all’efficientismo proprio del mondo moderno sembra inutile. Invece matura e arriva coi tempi di Dio. E’ come un piccolo seme messo nel cuore di Dio, seme che secondo i suoi ritmi, matura via via progressivamente.

Che cosa intende dire il monastero al mondo?

Sì, è una grande contraddizione con il mondo che cerca da parte sua di apparire, che cerca il successo, la ricchezza; noi al contrario viviamo nell’umiltà, nel nascondimento, nella sobrietà.

Le pesa la lontananza degli affetti famigliari?

No, non mi sembra, anche perché li sento vicini, ogni tanto vengono a trovarmi e mi telefonano, come questa mattina. Mi vogliono bene nella fede, respirano i miei valori, la mamma, il papà e tutti i miei famigliari.

Le prospettive future quali sono?

Più vai avanti nel cammino della fede e più ti accorgi che il Signore ti ama ed è da amare. Di Lui vale la pena fidarsi, perché infatti non delude mai, anche se magari non capisco.

Una parola per i giovani?

Non avere paura di lasciarsi conoscere da Lui! Essere poi uomini di riconciliazione capaci di operare la pace, pregare per la pace.

L'intervista è finita qui. Ho trovato Mariachiara disinvolta, spigliata e serena. Contenta della mia visita (è la terza volta che vado a trovarla) e molto spontanea : quando le ho offerto una piccola confezione di cioccolatini al caffè m’ha detto: ”Ma questi li gradisco proprio molto”. Con un bel sorriso di persona contenta, che sa apprezzare e godere delle piccole cose. E spontaneamente lo dice.

Umberto Giacometti

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