Demoni e misteri della modernità

La lotta tra angeli e demoni, ragione e sentimento, conscio ed inconscio…

Il Medioevo con le sue paure di un mondo avviato ad una estinzione imminente, aveva trovato la rappresentazione simbolica di questi terrori nelle Danze Macabre dei fratelli Baschenis (XV- XVI sec.), molte delle quali continuano ad ornare pareti di templi cimiteriali, specie nel Trentino e Sud Tirolo. Presentando la mostra “Il demone della modernità”, allestita a Palazzo Roverella a Rovigo fino al 14 giugno, il suo ideatore Giandomenico Romanelli ha citato gli itineranti pittori Baschenis delle Giudicarie. Sono scene perturbanti, le loro, di lunghe processioni guidate da scheletri con la lunga falce in mano che spingono anime dolenti di umani verso il loro destino finale.

Nel XIX secolo si assiste al risorgere di una forte religiosità, ad una lotta incruenta ma incessante fra la ragione e il sentimento, fra il conscio e l’inconscio. “Calme, luxe, volupté” proclamava Baudelaire esorcizzando ogni idea di peccato e di contrappasso, riconoscendosi nel Gaudeamus igitur dei clerici vagantes di scuola bolognese, studenti poco studiosi tutti tesi a cogliere ogni piacere che la vita potesse offrire.

Nel tardo ottocento e all’inizio del secolo ventesimo il mondo viveva in una pace apparente che pareva non dovere finire mai e non si volevano sentire i rumori preoccupanti che ribollivano sotto le ceneri e annunciavano l’imminenza della prima disastrosa guerra mondiale. Anche il mondo dell'arte viveva questa apparente contraddizione: se da un lato il mercato era ancora pieno degli oleografici dipinti ottocenteschi così cari ai salotti borghesi, dall’altro nasceva una modernità particolare dove cominciava ad affermarsi l’inconscio, quel mondo misterioso mai esplorato a dovere fino ad allora. Nasce il simbolismo. Già nell’Ottocento, ai suoi albori, Heidelberg sostenne che il simbolo stabilisce un rapporto tra realtà e l’uomo e già antichissimi gruppi sacerdotali si erano serviti del simbolo per educare il popolo racchiudendo in esso l’essenza dogmatica del loro sapere.

La mostra “Il demone della modernità” coraggiosamente affronta la complessità del vecchio mondo che sta per chiudersi dando origine a nuove forme di vita, lo sviluppo megalomane dei grandi centri urbani, il nascere di una coscienza sociale di sudditi che vogliono vedere affermata per sempre la loro qualità di cittadini.

L’antichità greca offre i suoi eterni simboli. Gli Edipi, le Sfingi, incarnano gli incubi di fine secolo, mentre Freud scopre nell’inconscio fino ad allora inesplorato, la chiave interpretativa dell’agire umano. Odillon Redon, Max Klinger, Franz von Stuck, questi ultimi allievi di Boeklin sono gli interpreti di queste angosce rese mirabilmente sulle loro tele. Bisogna giungere preparati alla grande mostra di Rovigo, per coglierne appieno la valenza, il rigore documentario, l’esattezza storica con cui è stata costruita. Il piacere estetico della bella pittura attenua così il disagio e il vago malessere che ogni profonda riflessione sul mistero dell’Aldilà genera.

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