“La mia preghiera per chi ci rapì”

Per 57 giorni nella mani dei terroristi. “Non avremmo mai pensato di portare la nostra missione nella savana, in prigionia…”, dice il missionario che sarà a Trento martedì 24 marzo

“Davvero, non avremmo mai pensato di portare la nostra missione nella savana, in prigionia, tra i terroristi. Ci siamo sentiti missionari con la nostra presenza, con la nostra preghiera, offerta anche per i nostri rapitori. Non sappiamo come il Signore farà fruttare questa esperienza…“. Don Gianantonio Allegri, missionario fidei donum della Diocesi di Vicenza, porterà la sua testimonianza a Trento martedì 24 marzo (chiesa di San Francesco Saverio, ore 20). E’ passato poco meno di un anno dal suo rapimento da parte dei fondamentalisti di Boko Haram, mentre si trovava nella missione di Tchère, a una ventina di chilometri dalla città di Maroua, nell’estremo nord del Camerun, il paese dove opera la missionaria saveriana suor Lina Caliari, originaria di Cavrasto (Bleggio Superiore), in Africa dal 1975. Con don Allegri furono rapiti anche don Giampaolo Marta e suor Gilberte Bussière.

Don Allegri, torniamo a quella sera del 4 aprile 2014.

“Sì, possiamo tornare a quella sera per fare memoria di un avvenimento triste, drammatico, che per fortuna non è sfociato in una tragedia, ma in un percorso di conversione sia personale sia ecclesiale”.

Com'era la situazione nel Nord Camerun?

“Non era buona, almeno da un anno a quella parte, a motivo delle infiltrazioni dei fondamentalisti islamici nigeriani di Boko Haram, che entravano in Camerun per compiere rapimenti e avere qualcosa in cambio”.

Ed è quello che successo anche a voi.

“Non ce lo aspettavamo. Eravamo a 20 km. dalla città, al centro della regione, lontani dal confine”.

Quanti erano gli assalitori?

“15, 18 persone, armate. Ci hanno rapiti insieme a suor Gilberte”.

Che significa essere presi sotto la minaccia delle armi?

“Si sta col cuore gonfio, attenti a non muoversi, a non reagire per non correre il rischio di essere picchiati o uccisi. Anche durante la prigionia siamo rimasti sempre sotto la minaccia delle armi”.

Non sono mancati i momenti di sconforto. Cosa vi ha permesso di resistere, di andare avanti nei 57 lunghi giorni di prigionia?

“La paura non mancava. Per fortuna abbiamo avuto il dono di non essere divisi, di stare sempre insieme spalla a spalla, aiutandoci fraternamente in una situazione in cui mancava tutto, sostenendoci nei momenti di fatica psicologica”.

Come passavate le giornate?

“Pregando lungamente, meditando la Parola di Dio ricordata a memoria. Ci ha molto aiutato. Abbiamo capito che si poteva vivere con l’essenziale. Questo ci ha aiutato a sopravvivere e a dare un senso a questa esperienza”.

Don Allegri, cos’è l’estremismo? Come si manifesta? E chi sono gli estremisti religiosi? Cosa c’entra Boko Haram con la religione?

“Il fondamentalismo islamico è presente non solo in Nigeria: è in Iraq, in Siria, in altre parti del mondo. Quella religiosa è una motivazione molto forte per questa gente, ma ci sono anche motivazioni ‘altre’, politico-economiche; è la ricerca di un potere che è nelle mani di altri”.

Quando parla di ragioni economiche a cosa allude?

“In Nigeria, così come in Camerun, in alcune parti del paese la popolazione è ben sostenuta, c'è ricchezza economica. Ma nel Nord del Camerun e della Nigeria c'è molta povertà e ci sono poche opportunità, soprattutto per i giovani. Lo stesso si può dire di paesi come il Sudan e il Ciad. Così i giovani diventano un serbatoio per questi fondamentalisti, dietro ai quali forse ci sono altri grandi giochi politici ed economici”.

Le notizie tragiche che ogni giorno ci giungono da più parti del mondo rischiano di portarci a una generalizzazione impropria e pericolosa circa la sovrapposizione tra fede e guerra, religione e conflitto: come uscirne?

“Bisogna sempre vivere la situazione concreta che ci si trova davanti, pensando che le persone che proclamano la fede islamica sono prima di tutto persone, che possono essere autentiche e in buona fede. Nel Nord Camerun c’era un dialogo molto buono e aperto di collaborazione. Nella nostra parrocchia di Tchère, un terzo dei ragazzini delle scuole primarie sono mussulmani”.

Il dialogo di cosa si nutre?

“Il dialogo si sviluppa nel reciproco riconoscimento umano. Poi, se qualcuno usa la religione per fare del male, questa è un’altra cosa, che va combattuta dando delle opportunità di vita a tutti. Penso che il primo passo sia la giustizia, verso tutti”.

Che ne è ora della vostra missione di Tchère?

“Dalle missioni sono stati ritirati quasi tutti gli stranieri, che sono gli obiettivi dei fondamentalisti. I pochi rimasti sono nella città di Maroua, dove la sicurezza è maggiore. Nella missione di Tchère l’opera di evangelizzazione e di promozione umana continua attraverso il personale locale”.

Don Allegri, tornerà in Camerun?

“Per me e Giampaolo è impossibile ritornare in Camerun. In questo momento nel Nord Camerun si vive la crisi dello scontro con Boko Haram, c’è una situazione di guerra”..

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