Alla Diaz pestati i diritti

Un monito al Parlamento perché introduca senza indugio il reato di tortura nel codice penale italiano

Nell'irruzione alla scuola Diaz, il 21 luglio 2001, a conclusione del G8 di Genova, le forze dell'ordine violarono la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, compiendo con i maltrattamenti inferti alle persone che dormivano al suo interno atti che “devono essere qualificati come tortura”. A 14 anni di distanza da quegli eventi, la Corte europea dei diritti dell'uomo, pronunciandosi sul ricorso di Arnaldo Cestaro, che alla Diaz fu picchiato così duramente da dover essere operato e che ancor oggi riporta le conseguenze del pestaggio subito, ha riconosciuto all'unanimità nei maltrattamenti operati dalle forze dell’ordine la violazione dell’art. 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione. La sentenza, che non è definitiva (le parti hanno tre mesi di tempo per chiedere il rinvio del caso alla Grande Chambre), condanna lo Stato italiano al pagamento di un risarcimento di 45 mila euro per danni morali al ricorrente.

Tenuto conto della “gravità dei fatti”, la Corte – che ha sede a Strasburgo – ha anche giudicato “inadeguata” la risposta delle autorità italiane, che non furono in grado di identificare gli autori materiali dei maltrattamenti, sia, scrive la Corte, per la “difficoltà oggettiva di procedere a identificazioni certe”, ma anche per la “mancanza di cooperazione della polizia”.

La sentenza – che “Libera” definisce “importante”, perché “rende giustizia per ciò che è successo” – bacchetta pesantemente il legislatore italiano, invitato a dotare l'ordinamento giuridico italiano “di strumenti giuridici idonei a sanzionare adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti”, anche per evitare “in futuro altre possibili violazioni dell’art.3”.

“E' un monito alle istituzioni italiane a fare presto e bene, dopo oltre un quarto di secolo di ritardo nell‘introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano”, afferma Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, ricordando che la presenza del reato di tortura nel codice penale avrebbe “fatto la differenza”, evitando la prescrizione. Il disegno di legge in materia attualmente all’esame della Camera per Marchesi “ha certamente qualche limite”, ma rappresenta “un grande passo avanti rispetto alla situazione attuale”.

Ora il Parlamento italiano non ha più alibi: “Occorre che il Parlamento legiferi al meglio. Con dignità e responsabilità. E, se possibile, senza indugi”. Commenta così la sentenza l'agenzia Sir della Conferenza Episcopale Italiana.

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