Luci e fuochi fatui dell’Attesa

Una diretta televisiva non è il modo più appropriato per partecipare ad un evento come la Veglia Pasquale, ma mostra segni del nostro essere Chiesa oggi

Sabato santo. Nella notte inizia la liturgia più suggestiva, intensa e lunga dell'anno. Una delle poche, se non l'unica ad aver mantenuto la struttura e la natura culturale delle origini cristiane. Una celebrazione che si presenta come esperienza simbolica, personale e comunitaria, di liberazione e passaggio, dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, da un silenzio che è mancanza, alla pienezza gioiosa e liberante delle campane che sciolgono il canto del Gloria. A differenza di ciò che accade di solito, tutto questo non ci si limita a dirlo, la liturgia invita a viverlo, a sentirlo: la notte, il buio, il silenzio, e poi la progressiva rottura di questi elementi ad opera della luce che avanza dal fondo e si dilata propagandosi di fiammella in fiammella fin che la chiesa riluce per la forza congiunta del cero pasquale e dei lumini di ministri e assemblea – immagine efficace della chiesa e dei modi della salvezza portata da Cristo – una forza debole e tremula che tuttavia si propaga per le navate ed innesca l’esplosione sonora delle campane, le piccole e le grandi, in un concerto che annuncia al mondo la certezza di un evento incredibile, la resurrezione.

È possibile non sentire e non vibrare dentro, dell'emozione e della gioia potente di queste campane sbrigliate nella notte santa?

Perché ciò avvenga, tuttavia, debbono essere date le condizioni per immergersi nel simbolo e credere ad esso, non con la testa e in astratto, ma con tutto il proprio essere. Non si possono fare le cose a metà, un po' si e un po' no, come se si dicesse “sappiamo tutti come dovrebbe essere e perché, non occorre che stiamo qui a rifare tutto per filo e per segno. Basta alludere”. Allora il buio nella chiesa non è totale, e la luce non è quella che si propaga dal cero alle candeline, e così via.

Credere implica essere presenti a ciò che accade ed aderire ad esso non solo con la mente ma con il cuore. Noi persistiamo a separare e a pensare che basti la prima. Così come persistiamo a scindere i discepoli dalle discepole, e a trattare queste come un'appendice.

In questa Veglia pasquale, la terza del suo pontificato, Francesco ha proseguito la sua rivoluzione culturale, riaccendendo, con l'omelia, la luce sull'attesa e l'azione delle donne nella notte del sabato, azione ispirata dal cuore più che dalla testa, che riceve in cambio prima l'annuncio e poi l'incontro con il Risorto.

A fronte di questa novità, piccola ma non piccola, la diretta televisiva dalla Basilica Vaticana ha mostrato nella liturgia della luce alcuni segni su cui vale la pena riflettere. Da un lato la cura del buio, rotto solo da una scia di luci a terra, inevitabili probabilmente per la sicurezza e per le riprese. Dall'altra l'avanzare del cero seguito dalle candele accese dei vescovi, che non propaga la sua fiamma all'assemblea e, tuttavia, l'assemblea luccicava di fiammelle, anche là dove il cero non era ancora arrivato. Ci ho messo un po' a capire che si trattava di telefonini e smartphone con cui la gente riprendeva la processione.

Dovremmo essere abituati, lo abbiamo visto anche nell'omaggio funebre a Giovanni Paolo II – tutta questa gente interessata a catturare il trofeo di un'immagine invece che ad essere presente per intero. Ogni volta è una sorpresa, un colpo inatteso. Eppure dice molto del nostro essere chiesa oggi. Da un lato, il clero sembra geloso dei segni liturgici e li dispensa a metà (anche quelli sacramentali), dall'altro i laici si adattano alla condizione di spettatori di un rito che è spettacolo folclorico e non più azione comune di grazia. L'accensione della luce nella Basilica, quando avviene, è violenta e tutta elettrica. Più tardi, l'eucaristia nelle due specie sarà per i soli neofiti; per gli altri, come sempre, il solo pane eucaristico, e in bocca, come agli infanti e agli infermi.

Vorrei sperare che nella messa del Giorno, papa Francesco abbia proseguito la sua rivoluzione facendo leggere il Vangelo di Giovanni fino al punto in cui diventa pienamente pasquale, nell'incontro diretto e personale della Maddalena con il Risorto, fuori dal sepolcro. Non spezzandolo nel punto in cui Pietro e Giovanni vedono i segni dell'assenza e comprendono. E che l'Eucaristia per un giorno, quello rinnovato, sia data a tutti nella completezza originaria, del corpo e del sangue.

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