La “scoperta” di Ponciach

Un angolo di paradiso nell'Alta val di Cembra, dove un giorno si pensò ad una piscina olimpionica e dove oggi va forte la “pizza di patate”

Chi sale da Faver e s'inoltra per 3 chilometri e mezzo fino alla frazione di Ponciach in una domenica piovosa di fine inverno, ha l'impressione di arrivare in un villaggio western, come quello ricreato nel “ranch” del vicino lago Santo.

Ben presto, però, si aprono idealmente le porte delle dieci case più o meno abitate – una cinquantina di persone in tutto – e si coglie il raro microclima della piccola comunità: tutti si conoscono da sempre,  sanno offrirti ogni informazione, lieti di dimorare in quest'angolo di paradiso e di poterlo “presentare” agli ospiti occasionali,  che restano stupiti dalla ricchezza dei sentieri e dei richiami naturalistici valorizzati dalla Rete di Riserve dell'Alta Val di Cembra – Avisio. L'elegante chiesetta sulla destra, dedicata a    , testimonia una fede antica, rinnovata peraltro anche nella frase dialettale che dà voce al crocifisso del primo bivio: “Fermete om – è il consiglio al viandante – e varda en sù, laora de men e prega de pù”.

Ma c'è una scoperta che forse nemmeno i frequentatori abituali di Ponciach conoscono: è la piscina olimpionica, piscina  “scoperta” appunto, che Piergiorgio Paolazzi un giorno pensò di poter realizzare  per i villeggianti  stranieri in Trentino. Avevo visto il richiamo turistico delle piscine all'aperto, quando era stato emigrato in Belgio, dove si era distinto come giardiniere della nobile famiglia Boussion.

Al rientro dopo dieci anni a Ponciach – erano i promettenti anni Settanta/Ottanta – era riuscito a realizzare quel progetto un po' avveniristico, ma la piscina dalle misure olimpioniche (50 metri per 12,5) rivelò ben presto non pochi problemi di gestione. Lo specchio d'acqua fra le conifere fu quindi riconvertito in pesca sportiva e i bagnanti a Ponciach (documentati da una foto d'epoca) lasciarono il posto ai pescatori.

Non c'erano esercizi alberghieri ma il bar allestito a casa Paolazzi rappresentava in quegli anni di turismo pionieristico una tappa piacevole. “Ci fareste un piatto di pasta, anche…” da questa richiesta di alcuni amici nacque la prima tavolata in garage (il tavolo e le quattro sedie restarono “storici”) che spinse i coniugi Paolazzi a lanciarsi lentamente in una proposta di agriturismo, uno fra i primi in provincia di Trento, negli anni Ottanta.

Ma il colpo decisivo allo sviluppo del locale venne quando la moglie di Rocco Paolazzi, Renata Magnabosco, veneta di Asiago dai buoni risultati nello sci da fondo e nel biathlon, scelse di ridare slancio all'offerta enogastronomica. Nel nuovo agritur Paolazzi, aperto nel 2001 con stile rustico e cordialità montanara, si valorizzò una ricetta che la “nonna Paolazzi”, avevamo importato dalla sua terra d'origine, la Calabria: una focaccia a base di patate, piatto ormai affermato in zona e noto come “pizza di patate”. “Abbiamo curato la tipicità di questa ricetta coltivando le patate di qualità Monnalisa e Kennebec, particolarmente adatte a restituire una pasta soffice – spiega Renata Paolazzi, prima d'infornare nella speciale padella  – e privilegiando nella farcitura tutti i prodotti locali: ci mettiamo perfino i nostri asparagi coltivati a 1000 metri!”.

La passione trascinante di Renata Paolazzi sembra aver contagiato anche le collaboratrici e i due figli Francesco e Aurora, che condividono col padre Rocco anche la coltivazione viticola in valle e quella dei piccoli frutti: “Una specialità di cui andiamo orgogliosi è la trota cucinata alla grappa, un pesce che cresce nella nostra acqua dalle proprietà particolari”, accenna Renata che corre subito dietro ai fornelli; accanto alla famiglia e alla fede montanara coltiva anche un forte senso della legalità, corroborato dagli studi in giurisprudenza ormai verso la conclusione”.

Vien voglia di fermarsi e di tornare a Ponciach fiorita di Erica, dove oltre all'altro albergo e alla partenza dei sentieri verso il rifugio Pozmauer si trova anche quell'esperienza preziosa di condivisione che è la comunità “Valle Aperta”, fondata vent'anni fa dall'associazione cembrana contro il disagio psichico.  Una conferma che nella periferia trentina pulsa ancora un cuore accogliente.

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