Il cantore di un intero continente

E’ scomparso nei giorni scorsi a Montevideo Eduardo Galeano, uno dei più grandi e amati scrittori latinoamericani. Una vita avventurosa la sua. Costretto a fuggire dall’Uruguay in seguito al colpo di stato militare all’inizio degli anni ’70 si era rifugiato in Argentina da cui a sua volta era dovuto andarsene per il golpe, trovando rifugio in Spagna. Farà ritorno in Uruguay nel 1985 dopo la caduta del regime.

“Le vene aperte dell’America Latina” rimane il suo libro fondamentale, insieme a “Memoria del fuoco”. Cantore non solo di una nazione, ma di un intero continente, Galeano raccontava una storia popolare, antica e attuale, che partiva dalla Conquista del ‘500 fino ai giorni nostri. Il processo di depauperamento e spoliazione di un continente prima da parte dei conquistadores e poi delle multinazionali. Eduardo Galeano ne “Le vene aperte” risalta la presenza, accanto alla grande storia fatta dai potenti, della “piccola storia”, quella espressa dalle fatiche e dalle sofferenze degli sfruttati e degli oppressi – gli indios, i campesinos -, gli ultimi della terra, cui si sente dolorosamente e fraternamente sodale. In questo senso “Le vene aperte” è un vero e proprio monumento per loro, ma “non di marmo, né di bronzo” – come aveva dichiarato -: piuttosto fatto “della carne e delle ossa dei piccoli personaggi che in realtà sono i grandi personaggi della vita viva”.

Ironia e disincanto costituivano nel suo essere un tratto caratteristico, insieme alla grande passione nel dare voce a chi voce non ha. Questo – ripeteva – era il compito dello scrittore.

Lo ricordiamo componente del “Tribunale Russell” e della “Lega per i diritti e la liberazione dei popoli” con quel suo modo straordinario e affascinante di parlare. Anche i suoi scritti erano composti di frasi brevi, dall’effetto struggente ed evocativo per l’insensatezza di tanti massacri, di tanta violenza verso i più deboli.

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