“Oggi i poveri hanno molteplici volti”

Presentato lunedì scorso il nuovo gruppo Caritas del decanato. A maggio sarà operativo il Centro di ascolto a Strembo

La Caritas prende il volo anche in Val Rendena. A maggio, il lunedì dalle 14 alle 16, sarà operativo il Centro di ascolto a Strembo, in un locale messo a disposizione dalla parrocchia in via Nazionale, 30. “Un percorso iniziato a fine 2013”, ha spiegato don Flavio Girardini, decano di Rendena, nella serata di presentazione, lunedì scorso al teatro parrocchiale di Spiazzo. “Il gruppo di volontari ha seguito una formazione spirituale e operativa, per meglio comprendere che fare la carità richiede un certo stile e fa parte della vita cristiana. Abbiamo incontrato i responsabili della Caritas Diocesana e di molte altre realtà”. Parlando di Caritas, ha proseguito don Flavio, vengono subito alla mente pacchi, viveri, indumenti, insomma cose da fare. “Questo è vero ma la Caritas ha soprattutto la funzione pedagogica di aiutare la comunità a vivere la carità ogni giorno. La carità è una realtà divina”.

Don Benito Paoli, parroco di Pinzolo, ha invitato ad animare le liturgie nelle parrocchie per mantenere l'attenzione alla carità, mentre per il coordinatore Mario Lorenzi, coordinatore, “l'amore è la lingua universale parlata da Dio e la Caritas vuole essere testimonianza di questo amore. Oggi i poveri hanno molteplici volti e storie. Relazioni, ascolto, vicinanza, prossimità devono essere priorità di ogni persona e comunità”.

La Caritas Italiana è l'organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana. Nata nel 1971, per volere di Paolo VI, nello spirito di rinnovamento del Concilio Vaticano II. Monica Collini ha presentato il cammino, definendo la Caritas come “un volto della Chiesa nel territorio”, partendo dalla consapevolezza che “siamo tutti in cammino e che ogni comunità ha costante bisogno di conversione. La testimonianza della carità fa parte di ciascun battezzato e della comunità nel suo insieme”.

Quali povertà si incontrano oggi in Rendena? Dove? che servizi sono presenti sul territorio? a quali bisogni rispondono? Da queste domande è partita l' “operazione ascolto” che ha coinvolto i parroci, ministri straordinari dell’Eucaristia, catechisti, Caritas di Tione, Club Alcolisti, cooperative sociali, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (Centro di Salute Mentale), assistenti sociali della Comunità e altri “testimoni privilegiati”.

È emerso che sul territorio è presente una pluralità si servizi, che già opera e incontra, persone con disagio e problemi. Si rileva la presenza di immigrati soprattutto dell’Est Europa oltre che da altre parti del mondo. Per la maggior parte delle comunità sembra che siano inseriti “abbastanza bene nel territorio”. Le richieste alle comunità sono di tre tipi: aiuti economici, individuazione di casa e lavoro, ascolto e consiglio.

Individuati anche tre tipi di disagio: dipendenze (ludopatie, alcolismo, tossicodipendenza), isolamento (inserimento degli immigrati, solitudine degli anziani), difficoltà famigliari (separazioni, disagio giovanile, disagio psichico). Dai colloqui è emerso anche che, queste povertà, prima di essere economiche sono relazionali e prima di coinvolgere singoli individui riguardano anche il contesto dove sono inseriti.

Per questo, è fondamentale accompagnare all’autonomia possibile di ogni persona per non cadere nell'assistenzialismo. La cronicità non esiste, ma dietro ad ogni gesto di cura c’è un percorso del cuore e della vita a dare il senso. Sono state lanciate anche alcune provocazioni: “Le nostre comunità sono luoghi che accolgono tutti? Che forme può avere oggi l’accoglienza della povertà nelle nostre comunità? Che idea abbiamo nelle nostre comunità del prendersi cura? La cura è una responsabilità personale o di comunità? Siamo capaci di cooperazione con altri?”.

L’attività di un Centro di Ascolto non si esaurisce con le persone ascoltate, ma implica un’interazione con il territorio finalizzata a individuare possibili risposte ai bisogni incontrati. L’efficacia di un Centro di Ascolto non si misura nel numero delle situazioni “risolte”, ma nell’apporto fornito alla costruzione di una comunità capace di condividere i bisogni.

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