Dopo l’Italicum

Il premier segretario deve lavorare per radicare un consenso che indubbiamente ha, ma che è ancora in molti strati del paese a livello così superficiale da poter essere sradicato senza troppa fatica

Come previsto, il cosiddetto Italicum è diventato legge. Al momento Renzi segna una vittoria abbastanza netta, nonostante la guerriglia dei suoi avversari. La scelta dell’Aventino da parte di chi era contrario alla riforma (dopo averla approvata al Senato, ma si sa che la coerenza non è una virtù politica) è stata dovuta semplicemente alla necessità di controllare il dissenso interno: si temeva che col voto segreto qualcuno dell’opposizione inviasse sostegni sottobanco al governo. Impedendo l’ingresso in Aula ci si metteva al sicuro da quelle sorprese.

L’accusa a Renzi di aver voluto scrivere le regole elettorali da solo è poco credibile, perché per lo più viene da coloro che o mesi fa lo avevano rimproverato per il patto del Nazareno o che addirittura quel patto lo avevano sottoscritto. Come è facile da capire, Renzi non poteva accettare una sconfitta che lo avrebbe azzoppato ed ha tirato dritto scommettendo sulla tenuta della sua maggioranza. E sin qui ha avuto ragione.

Il dissenso interno al PD è a sua volta una mossa d’immagine, più che una proposta politica. Serve a blindare coloro che temono altrimenti di non aver posto nelle future liste: costruendosi il ruolo di oppositori ufficiali divengono intoccabili, perché se li si escludesse potrebbero gridare alla “persecuzione ideologica”. Per questo alcuni, tipo Civati e Fassina, corrono ad infilarsi in ogni manifestazione antigovernativa, tipo quella del 5 maggio contro la riforma della scuola: basterebbe questo a mostrare una pochezza di proposta politica, visto che quello sciopero è l’ultimo sussulto di un corporativismo sindacale che infiamma solo un paese innamorato dei luoghi comuni.

Cosa deve temere adesso il governo? Molti osservatori paventano il cosiddetto “Vietnam parlamentare”, cioè un succedersi di agguati contro il governo, specialmente in Senato dove la maggioranza è risicata. C’è però da chiedersi a chi convenga una tattica di questo tipo.

Per capirlo occorre fare il punto su una serie di situazioni. Prima di tutto il fatto che la nuova legge elettorale non è utilizzabile senza la riforma del Senato, che non passerà in tempi brevi. La cosiddetta clausola di salvaguardia contenuta nella legge per cui essa non entrerà in vigore prima del 2016 è blindata da questo fatto: la legge riguarda solo la Camera, e non dice nulla sul Senato. Dunque se non ci fosse la riforma del Senato si avrebbe al massimo una elezione con l’Italicum per la Camera ed una per il Senato, non ancora abolito, con una normativa che può essere solo quella disegnata dalla sentenza della Corte Costituzionale. Cioè si avrebbe un Senato con una composizione difficilmente governabile, ma quel Senato avrebbe ancora il potere di dare la fiducia al governo. Come si vede un bel pasticcio.

Il secondo tema da considerare è che la guerriglia parlamentare non avrebbe successo senza la partecipazione dei dissidenti del PD, ma in questo caso Renzi si presenterebbe all’elettorato come vittima di quelli che sanno solo dire di no ed andrebbe alle urne con un grosso vantaggio e comunque alla testa di un partito di cui al momento ha ancora il controllo.

In terzo luogo una corsa a precipizio verso le urne favorirebbe fra gli oppositori solo la Lega e il Movimento Cinque Stelle e questo, fantasie di Brunetta a parte, non sembra quello che può essere più utile al centro-destra.

Come conseguenza di tutto questo risulta che Renzi deve guardarsi soprattutto da sé stesso e dagli entusiasmi dei suoi pretoriani. Può sembrare paradossale, ma è così: il problema del governo è evitare di essere messo in angolo sulla strada delle riforme, sapendo però che deve lavorare molto per ampliare il consenso, perché ogni riforma pesta i piedi a tanti piccoli privilegi e solleva un buon numero di paure.

Insomma il premier segretario ha bisogno di lavorare per radicare un consenso che indubbiamente ha, ma che è ancora in molti strati del paese a livello così superficiale da poter essere sradicato senza troppa fatica. L’impresa è tutt’altro che facile, perché si deve uscire dalla logica per cui si governa attraverso i teleschermi sintonizzati sui talk show: in quelli c’è ampio spazio per la consueta commedia dell’arte a cui hanno ampio accesso anche le “maschere” dei suoi avversari. Bisogna invece tornare a lavorare in profondità sul territorio: è faticoso, ma da frutti maturi.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina