Orto sinergico, un brulichio culturale

Il suolo è lavorato collettivamente attraverso scelte comuni, stagione dopo stagione, in completa armonia con la natura

Coltivare ortaggi senza ricorrere a sostanze sintetiche, con piccoli accorgimenti colturali e un’accorta preparazione del letto di semina concentrandosi sulla cura integrale della terra che “non abbiamo ereditato dai nostri padri ma preso in prestito dai nostri figli”. È il presupposto dell’orto sinergico sorto a Villazzano due anni fa quando dalle pressioni del collettivo sull’amministrazione pubblica era stato sfoderato un lotto di terreno espropriato anni prima a causa di lavori d’ampliamento della vicina stazione ferroviaria, inoccupato ma, ciò che più importava, coltivabile.

La scintilla, nel 2011, scoccata dall’idea di iniziare un’esperienza di “orto sociale biologico” poiché dal primo contatto con i richiedenti asilo politico sbarcati sulle coste dell’Italia insulare nei mesi di guerra civile in Libia veniva percepito il loro immenso bisogno relazionale sorretto innanzitutto da comprensione e calore umano. Ecco perché l’orto sinergico dell’associazione “Richiedenti Terra” di Trento è dapprima un brulichio culturale e un gesto di inestimabile umanità: consente a chiunque di parteciparvi mettendo scientemente in atto buone pratiche agronomiche e criteri di sostenibilità ambientale in netta opposizione ai meccanismi dell’industria agroalimentare.

Il suolo è lavorato collettivamente attraverso scelte comuni, in modo da sperimentare stagione dopo stagione la coltivazione dell’ortofrutta in completa armonia con la natura. Dopodiché, l’impegno “può dare i suoi frutti” senza forzature dell’uomo tradotti, naturalmente, in gustose, nutrienti e genuine primizie da servire in tavola.

L’orto sinergico realizzato da zero su tremila metri quadrati di prato incolto nel sobborgo cittadino venne sperimentato per quarant’anni dal nipponico Masanobu Fukuoka: avalla la concimazione naturale attraverso il sapiente equilibrio tra micro e macro elementi essenziali alla biocenosi ipogea. Le tecniche colturali raccomandate sono suggerite da Margherita Lega di “Richiedenti Terra” che con genuina spontaneità accende la passione autentica per un lavoro “indicato a coloro che hanno un fazzoletto di terra e vogliono coltivarlo secondo natura, senza l’uso della chimica e secondo le dinamiche naturali del suolo”.

Ecco allora che i principi della permacultura, ossia il metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo da soddisfare i bisogni della popolazione in cibo ed energia e al contempo resiliente, ricco e stabile di ecosistemi naturali, rivestono un ruolo chiave alla pari della biodiversità. La gran parte delle pratiche agricole tradizionali ostacolano l’interazione tra piante e microrganismi aumentando la necessità di fertilizzare il suolo con agenti chimici accrescendo, di conseguenza, l’incidenza di patologie e l’impoverimento della biodiversità.

Merita notare che questa iniziativa ha conquistato il terzo premio al concorso “Ambiente Euregio” indetto per l’elaborazione di progetti di utilità e sensibilizzazione ambientale realizzati in Trentino Alto Adige e Tirolo. Anche la Fao ribadisce l’influenza del suolo: quello sul quale camminiamo, costruiamo, lavoriamo e muoviamo ogni giorno le nostre vite. Quanti i terreni minacciati dall’inquinamento, dall’inaridimento, dalla cementificazione a ritmo forsennato da non permettere impassibilità. E ai suoli è dedicato a livello internazionale il 2015 perché, lo si creda o no, versa in situazione di sempre maggior pericolo.

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