“Il fenomeno Aquila? E’ nato dal basso”

[Parla lo stratega della grande stagione della Dolomiti Energia: “Abbiamo chiuso un percorso cominciato tanti anni fa”.

Salvatore Trainotti, miglior dirigente di basket d’Italia. Il titolo attribuito al general manager dell’Aquila premia quando fatto di buono negli anni. Non solo in questa stagione, ottima certo. E' la storia della società di Trento ad avere dell’incredibile e raccontare di un lavoro ben fatto fin dai primi passi.

“Quest’anno è stato la chiusura di un percorso – confessa Trainotti nell'intervista di fine stagione a Trentino inBlu – cominciato tanti anni fa nelle categorie inferiori e che ha avuto poi un’accelerata in questa stagione, aldilà delle aspettative degli stessi addetti ai lavori.

Uscite ai quarti dei play off scudetto, ma non c’è delusione, anzi.

Sì, siamo usciti contro una squadra più competitiva di noi. Sassari ha grande talento e grandi potenzialità: è riuscita a metterle sul campo in questi play off. E giocando ogni due giorni, la differenza tecnica degli organici emerge. E’ giusto così. Un po' di delusione cìè perchè in campo si vorrebbe sempre vincere. Ma va riconosciuto il merito ai ragazzi e all’allenatore perché hanno stupito tutti.

Quanto avrebbe voluto regalarci una semifinale con Milano?

Mi devo trattenere nel dire la voglia che avevo dentro. Però dobbiamo ricordarci chi siamo. La bellezza dello sport è che il merito prima o poi viene fuori. Di fronte avevamo una squadra più forte.

Manca tanto per colmare la distanza?

E' fondamentale tenere i piedi ben piantati per terra. Adesso bisogna fare un altro passo in avanti, che non vuol dire migliorare il risultato, ma lavorare meglio. Cercando di curare i dettagli. Poi i risultati arrivano. Uno dei compiti del Club è educare i tifosi a non guardare solo i risultati, ma vivere la società per quanto riesce a trasmettergli. E noi dobbiamo essere bravi noi a farlo. Fenomeno Aquila Basket. Non solo la squadra, ma l’intera struttura societaria sta attirando l’attenzione di tutto il mondo del basket.

Siamo nuovi su questo palcoscenico, c’è curiosità. Siamo una realtà partita dal basso e con un progetto inedito, fortemente legato al territorio. I dirigenti sono cresciuti con la squadra: c’erano fin dal principio. Un po’ viene premiato questo percorso, poi c’è un aspetto sportivo, che aiuta: siamo arrivati quarti nel primo anno in A e abbiamo raggiunto le finali di Coppa. Tutto partendo da un gruppo consolidato di ragazzi italiani sconosciuti a questi livelli e che sono cresciuti e passati di categoria con la squadra. Assieme agli americani alla prima esperienza in Italia. Un mix strano e inatteso.

Merito al coach, allora?

Assolutamente sì. Il riconoscimento da parte degli addetti ai lavori a Buscaglia è stato davvero meritato. Poi noi non amiamo cercare i meriti dei singoli, fa parte della nostra cultura. E’ un sport di squadra.

A questo punto parliamo anche del terzo titolo personale: miglior giocatore Tony Mitchell. Avete pescato un jolly o sapevate d’aver fatto una scelta importante?

Sapevamo d’aver fatto un colpo importante ma anche rischioso. E’ un giocatore fuori dalla portata di Trento e probabilmente anche del campionato italiano, parlando di talento e potenzialità. La capacità nostra non è stata nel pescarlo, ma nel saperlo gestire, di prenderci i pregi e chiudere un occhio su alcuni suoi limiti che pensavamo il resto del gruppo potesse compensare.

I ragazzi italiani non sono più tanto sconosciuti, ma anzi corteggiati. Si punta a trattenerli?

Questi sono ragazzi cresciuti all’interno di un progetto e lo sentono loro, c’è un forte senso di appartenenza. Se riusciamo a garantire una prospettiva al progetto non ci saranno problemi.

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