Da Lampedusa al Brennero

“L'Italia non ne esce bene”, ha detto il segretario generale della Cei prendendo le distanze dai governatori Zaia, Maroni e Toti sulla vicenda profughi. “Non è una questione di numeri – ha aggiunto mons. Nunzio Galantino – quando si comincia a dare i numeri, in tutti i sensi, vuol dire che c'è altro dietro. Il problema è essere d'accordo sull'atteggiamento di fondo”.

Basta stare poche ore dentro la stazione del Passo del Brennero per dimenticare i numeri e farsi “prendere” dalle persone in fuga: quella mamma siriana gravida di un futuro meno incerto, i giovani senegalesi che han rischiato i barconi in cerca di lavoro, un bimbo affascinato dal fischietto del capostazione. Sulla pensilina, borsoni che custodiscono gli affetti di ieri e oggi sembrano scoppiare.

Ma quale dovrebbe essere l'atteggiamento di fondo? Uno sguardo fraterno, imposto dalla comune dignità. Non un gesto passeggero e superficiale, che dimentica la necessità di strategie politiche a lungo termine. Ma nemmeno una reazione soltanto emotiva, come quella che sembrava aver destato l'attenzione europea dopo gli oltre 800 morti di metà aprile nel canale di Sicilia. Invece, ora i governi dell'Unione Europea hanno rimandato a settembre un accordo per il ricollocamento di 40 mila tra siriani ed eritrei attualmente in Italia e in Grecia. Hanno deciso di non decidere, mentre s'attendono altri 500 sbarchi in questi giorni. E intanto la Germania ha deciso di protrarre la chiusura agli immigrati (la giustificazione era il rischio terroristi sul vertice G 7 in Baviera) fino al 17 giugno, con un effetto domino anche sull'Austria, allineata nella linea dura dei respingimenti – in gergo tecnico li chiamano “riammissioni“ – verso il Brennero, alle porte di casa nostra.

Dove la comunità altoatesina – con la regia della Provincia, l'appoggio della comunità Vipptal e l'impegno di Caritas e “Volontarius” – sta rispondendo con carità e giustizia, vincendo le resistenze egoistiche con una posizione equilibrata: coinvolgere la popolazione locale, spiegare ai profughi i loro diritti e i loro doveri, garantire i bisogni primari senza però creare assistenzialismo. Una regia pubblica con un forte aiuto del privato sociale.

E' quanto si cerca di fare anche in Trentino, dove la settimana scorsa la Provincia ha chiarito che anche “i nove piani di solidarietà” previsti a Centochiavi non saranno un dormitorio ma una risorsa per tutta la comunità: welfare generativo, come si usa dire con un termine da realizzare nel concreto.

Quello che non è teoria è quanto si è già realizzato nei giorni scorsi: a Rovereto questa settimana sono stati due rifugiati a raccontare la loro storia e la loro traiettoria alla popolazione locale in un incontro col Cinformi; a Flavon i volontari della Casa Padre Angelo hanno accolto gli immigrati “reduci” da Castelfondo, trovando col tempo l'appoggio convinto degli amministratori locali. Per non dire degli appartamenti in cui si vanno costruendo progetti d'inserimento lavorativo per giovani rifugiati oppure gli alloggi ricavati per i richiedenti asilo nella residenza “ex Brennero” a Trento Nord: in pochi si sono accorti della loro ordinata a presenza.

L'atteggiamento di fondo, ancora una volta, è quello concreto del buon Samaritano che non si lascia non si lascia paralizzare dalle difficoltà burocratiche. Non rimane indifferente nel proprio quieto andare (come il sacerdote, come il levita), ma si rende disponibile a tentare l'intentato. Come in questi giorni vanno raccontando nello splendido film “Io sto con la sposa” e nello spettacolo teatrale “Buona fortuna!“, due bravi registi intervistati nelle nostre pagine 22 e 23 dai colleghi di radio Trentino inBlu.

Anche il Forum nazionale delle associazioni familiari, puntuale nel segnalare la risoluzione abortista dell'Unione Europea, ha giudicato “sconfortante” pure “ l’incapacità dei governi europei di trovare un punto di equilibrio di solidarietà di fronte ai grandi fenomeni migratori”: “In tal modo – ha constatato il presidente Francesco Belletti – riprendono fiato anche gli egoismi interni al nostro Paese, e rifiorisce la vecchia e oggettivamente irrealistica logica del “respingimento”. Vero che non saranno i Comuni o le Regioni italiane a risolvere il problema dell’immigrazione: ma, proprio per questo, nessuno può né deve chiamarsi fuori dalla grande sfida epocale dei popoli in movimento”.

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