La chiamata nella roccia

Ai Dodici Apostoli, 26 luglio 2015 – “Amici miei, venite qui…”, quando le voci della Sosat sibilano il canto d’accoglienza, il silenzio avvolge l’intera Conca di Pratofiorito. Dal vuoto della croce scolpita nella roccia dentro la cima Dodici Apostoli, esce l’eco della “chiamata” di ogni ultima domenica di luglio. Una “chiamata” che supera il tempo e dilata lo spazio, suona diversa per ognuno degli oltre seicento amici saliti ai 2489 metri del rifugio “Garbari” nell’alta val di Nardis: chi ritrova il fratello volato via trent’anni fa sotto una slavina, chi rivede nella foto il volto dello zio ch’era promessa dell’alpinismo, chi ricorda la tragedia del 1985 dei sette ragazzi in gita parrocchiale ai Brentei.

Ma la valanga del 1950 che portò poi all’idea di questa chiesetta per tutti i caduti dei monti (ne parliamo sotto) ha segnato anche la memoria dell’Arcivescovo di Trento: “Ero in campeggio parrocchiale in val Rendena in quei giorni e seguii ora per ora le fasi del recupero dei corpi dei tre giovani trentini – ha testimoniato mons. Luigi Bressan nell’omelia – da quella tragedia nacque anche la grande opera del Soccorso Alpino, all’insegna della solidarietà”. E’ stato il tema con cui l’Arcivescovo ha “letto” il brano evangelico della moltiplicazione dei pani: il cibo, nell’anno dell’Expo, da vedere “come diritto elementare di tutti, ma anche come dovere di condivisione”. E così la bellezza della natura, nello spirito della fresca enciclica, che non è solo da contemplare “nella sua forza e nella sua vastità” ma anche da salvaguardare nel rispetto delle norme, “impegno per le generazioni future”.

La solidarietà si è fatta preghiera per i popoli delle montagne martoriate nel mondo, stretta di mano con il vicino, voce fusa con quelle del coro della Sosat: “Non siamo qui per fare un concerto, non c’è la barriera fra il virtuoso che esegue e lo spettatore che ascolta – ha ribadito il presidente Andrea Zanotti, prima del “Signore delle cime” condiviso con tutti – vogliamo cantare insieme con coloro che hanno cantato con noi sugli stessi sentieri e che ancora ascoltano, da un altro cielo”.

Fra loro quest’anno, il nostro Michele Niccolini, 44 anni, responsabile della segreteria di Curia e collaboratore dei media diocesani, ucciso da una valanga il 2 maggio in val Martello: “Ci manca ancora tanto, era bravo e generoso”, ha detto Bressan insieme ai compagni di quella gita, ai colleghi della Curia, gli amici di Gioventù Francescana e Montagna Giovane con le parole affidate in una lettera dalla sorella Patrizia (vedi pag. 30): “Eri il compagno di gita e di corsa ideale e te ne sei andato tra le montagne che amavi – dice fra l’altro – lasciando il ricordo indelebile della tua serenità, pacatezza, sensibilità umana e professionale. Aiutaci a scorgere nella bellezza della natura, di cui ora sei parte, sempre e ancora l'impronta del Creatore”.

Con quella di Michele, sono state benedette anche le targhe del bolzanino Max Schivari e del tedesco Bernard Heltz, dei trentini Andrea Zambaldi, ucciso da una valanga sullo Shisha Pangma, ed Emilio Paternoster, morto sul monte Pavione mentre lavorava come geometra della Provincia. Un ricordo anche per la giovane Martina Pallaoro, morta sulla Presanella e per i tre esperti alpinisti trentini vittime del disastroso terremoto in Nepal: Oskar Piazza, Renzo Benedetti e Marco Pojer. I coristi della Sosat, guidati dalla voce potente di Roberto Gianotti, hanno poi accomunato nel ricordo il loro storico presidente Nino Baratto, mentre la vicepresidente della SAT, Maria Carla Failo ha sottolineato i valori spirituali e umani che accomunano il popolo della montagna.

Dopo aver ringraziato don Giorgio Dall’Oglio, il sacerdote mantovano fedele da 38 anni a questa memoria, mons. Bressan ha salutato i gestori del rifugio “Garbari” (dove ha lasciato in dono una stola boliviana), ha sostato alla targa che ricorda la nonna Emma Salvaterra, fermandosi infine in una breve visita davvero “pastorale” fra le mucche e le capre che alpeggiano alla Movlina sotto l’occhio appassionato di Lorenzo, figlio dell’artista e malgaro Gianni Rocca. Un bicchiere di yogurt e una fetta di formaggio “caserato” in malga lasciano il gusto della montagna sempre da… coltivare e da amare, anche nel giorno della nostalgia.

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