Renzi e la crisi del PD

Il problema principale del presidente Consiglio è in questo momento il suo partito. Nonostante ne controlli una quota di maggioranza è alle prese con una minoranza riottosa che non si capisce a cosa realmente miri.

Sostenere che siamo davanti ad una questione “politica” è nascondersi la realtà: quella che è in corso è semplicemente, per ora almeno, una lotta di potere tra gli eredi della vecchia storia PCI-PDS-DS-PD e il gruppo generazionalmente più giovane che li ha scalzati dal controllo del partito. Naturalmente ci sono confini mobili, per cui ci sono giovani (tipo l’on. Speranza, il sen. Gotor) che si identificano con la vecchia storia e non più giovani (per esempio i senatori Zanda e Finocchiaro) che lavorano con l’attuale maggioranza di governo. In complesso però la faglia corre lungo quel parallelo.

Da un certo punto di vista si potrebbe pensare che siamo di fronte ad una normale dialettica che sempre interessa i partiti, soprattutto quelli di dimensioni notevoli, dove la competizione per la conquista dei ruoli dirigenti non viene mai meno. Ciò che è anomalo è la violenza con cui la minoranza attacca la politica della maggioranza, sia in termini per così dire verbali (le continue accuse di tradimento, inadeguatezza, ecc.) sia in termini di scontri parlamentari (agguati e messa in difficoltà del governo incuranti del rischio di farlo cadere). Eppure questa minoranza per ora non punta ad uscire dal partito (ha lasciato quest’onere a qualche suo esponente ingenuo o bruciato) consapevole che in quel caso farebbe un pessimo affare: sarebbe costretta, se non vuol essere irrilevante, a tornare a trattare un minuto dopo col suo vecchio partito una alleanza elettorale e di governo.

Infatti non solo finché rimane in vigore la nuova legge elettorale una scissione a sinistra del PD non ha speranze di contare qualcosa (al massimo potrebbe allearsi con il vincitore al ballottaggio nell’ipotesi che fosse il M5S, ma resta da vedere se questi poi la prenderebbero in considerazione avendo già la maggioranza autonomamente), ma anche puntando ad uno scenario intermedio che eviti le elezioni anticipate non si vede con chi potrebbe, nell’attuale composizione del Parlamento, promuovere un governo alternativo a quello di Renzi.

La minoranza è convinta di potere giocare una partita di logoramento del premier senza rischi per sé. Sa che Renzi non vuole espulsioni, consapevole che queste fanno sempre brutta impressione sul pubblico, ed è convinta che nelle circostanze attuali non sia possibile prevedere il ricorso ad elezioni anticipate: troppo forte il rischio che ne traggano giovamento Salvini e Grillo, troppo incerto il margine di vantaggio del PD che in ogni caso non potrebbe allora permettersi di fare a meno di quello che ritengono essere il suo tesoretto di consensi elettorali.

Si tratta di un gioco spregiudicato e poco produttivo, che dà un po’ di visibilità mediatica ad alcuni personaggi (che credono così di essere dei protagonisti della storia), ma che finisce con il non approdare a nulla. Anzi costringe Renzi ad accentuare le componenti populiste della sua proposta.

Poiché il segretario-premier sa benissimo sia di essere in calo di consensi, sia di non poter escludere il ricorso anticipato alle urne, ecco che costruisce una sua “narrazione” che punta alla raccolta del consenso popolare immediato. Promettere di togliere la tassa sulla prima casa (che la stragrande maggioranza dei cittadini considera un bene d’uso conquistato col sacrificio e non una forma di “ricchezza”) o attaccare i sindacati (che gran parte dell’opinione pubblica considera responsabili dei disservizi e dell’ingovernabilità del mondo del lavoro) fa parte di questa strategia, non diversamente da altri punti che i lettori non faranno fatica a ricordare,

Giova al paese questa esasperazione del confronto interno al PD, oltre tutto condotto sulla base di vecchi ideologismi e di dubbie critiche (come la proposta di azzerare di fatto la riforma del Senato, per salvare l’eleggibilità di posizioni che interessano solo i politici di professione)? In una fase critica come quella attuale, con un orizzonte niente affatto sereno (crisi dei migranti e perdurare della crisi greca, tanto per citare due fatti eclatanti), non solo l’eventualità di elezioni anticipate, ma anche una crisi del governo attuale (inevitabilmente una crisi al buio, perché nessuno sa prevedere come se ne uscirebbe) sono due scenari che dei politici responsabili dovrebbero sentire la responsabilità di evitare.

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