La rotta balcanica

Migliaia di migranti in fuga da violenza e conflitti attraversano la penisola balcanica per raggiungere l'Unione europea

La Macedonia nei giorni scorsi è stata a lungo sotto i riflettori. Le drammatiche immagini dal confine greco-macedone hanno fatto il giro del mondo. Da una parte migranti e richiedenti asilo, dall’altra lo schieramento delle forze di polizia e, nel mezzo, i rotoli di filo spinato. Poi le frontiere sono state riaperte, i migranti hanno ripreso il loro doloroso cammino verso l’Unione europea.

Stato d’emergenza

Nelle scorse settimane il numero di chi ha attraversato il confine greco-macedone è aumentato da cinquecento a circa tremila persone al giorno. Secondo le statistiche ufficiali, circa 50 mila persone, soprattutto da Siria e Afganistan, hanno attraversato la Macedonia negli ultimi due mesi. Di fronte alla crisi provocata dagli arrivi massicci, il 19 agosto le autorità macedoni hanno chiesto ai paesi vicini l’invio di vagoni ferroviari, appello però caduto nel vuoto. Il giorno seguente, il governo di Skopje ha deciso quindi di dichiarare lo stato di emergenza nell’area di confine con la Grecia, a sud, e in quella sulla frontiera con la Serbia, a nord.

Sulla terra di nessuno

Dopo la chiusura del confine con la Grecia, l’accesso alla Macedonia è stato garantito solo ad un numero limitato di rifugiati. Il numero di persone intrappolate sulla “terra di nessuno” è quindi aumentato drasticamente, fino a raggiungere dimensioni insostenibili. Circa 4 mila rifugiati e migranti hanno tentato disperatamente di passare i blocchi, per poter continuare il proprio viaggio verso l’Unione europea. La situazione è divenuta presto insostenibile, portando agli incidenti catturati dalle telecamere e riproposti dai media a livello globale, con le unità speciali della polizia impegnate a lanciare lacrimogeni contro i rifugiati e provocando alcuni feriti. Dopo tre giorni e in seguito ad enormi pressioni, il confine è stato riaperto e la “rotta balcanica” è divenuta nuovamente transitabile.

Il principio di non-respingimento

Varie organizzazioni internazionali, come Amnesty International Europa, sottolineano che tutti i paesi hanno il dovere di offrire protezione a chi fugge da conflitti e persecuzioni, e la Macedonia non fa eccezione. Anche varie ONG macedoni hanno criticato le mosse del governo, ricordando che anche la Macedonia è legata al principio di “non respingimento”, secondo il quale nessun richiedente asilo può essere costretto a tornare in un paese nel quale la sua vita o libertà personale possono essere minacciate a causa della propria identità etnica, religiosa, politica.

Sulla questione dei migranti, l’UE ha fornito a Skopje fondi umanitari per appena 90.656 euro, ma secondo le stime ufficiali, la Macedonia ha speso 800 mila euro al mese solo per rafforzare l’azione di controllo della polizia sul proprio confine meridionale.

Altra questione sollevata dalle istituzioni macedoni è la mancanza di coordinamento regionale e di cooperazione con i greci. Un problema riconosciuto e sottolineato anche dall’UNHCR (Alto commissariato ONU per i rifugiati).

Arriva l’inverno

Da mesi, privati cittadini, organizzazioni informali ed ONG si sono organizzati per raccogliere e distribuire aiuti ai rifugiati, anche attraverso i social media.

Nel giugno scorso, in seguito a forte pressione da parte dell’opinione pubblica, il governo ha modificato la normativa sull’asilo, dando la possibilità ai rifugiati di richiedere un “asilo temporaneo” di 72 ore al confine o alla stazione di polizia più vicina, insieme al diritto di utilizzare la sanità e i trasporti pubblici.

E’ piuttosto difficile comprendere perché il governo macedone abbia deciso di chiudere il confine con la Grecia. Esperti e attivisti hanno sottolineato che la chiusura prolungata del confine porta, come unico risultato, ad una maggiore vulnerabilità dei rifugiati verso i trafficanti, e nell’aumento dei rischi intrapresi da chi tenta di entrare e attraversare il territorio macedone. Tra questi, la scelta di camminare lungo le rotaie del treno: una scelta che, tra gennaio e giugno 2015 è costata la vita ad almeno 28 persone.

Dal punto di vista macedone, la scelta migliore per il governo sarebbe registrare, dare una sistemazione dignitosa ai rifugiati e rendere possibile ai migranti l’attraversamento veloce del paese fino al confine con la Serbia. Questi passi, soprattutto dopo la decisione dell’Ungheria di erigere un reticolato di quattro metri al confine con la Serbia, dovrebbero essere presi con rapidità. Quando la barriera ungherese sarà completata, infatti, la “rotta balcanica” potrebbe assumere tutt’altra forma, e non è escluso che i paesi della regione possano trasformarsi da paesi di transito a destinazioni finali. E l’inverno non è così lontano.

Ilcho Cvetanoski*

* Questo articolo di Ilcho Cvetanoski è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Macedonia/Macedonia-migranti-una-crisi-evitabile-163631

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