“Solo insieme si vince l’odio”

“La crisi ha come origine le grandi ingiustizie sociali. Oltre a bloccare la vendita di armi, Europa e Usa devono accompagnare i Paesi arabi e vigilare perché prevalgano i diritti della persona”

Preoccupa l’escalation di violenza sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. E' da qui che nel Duemila Ariel Sharon con la sua passeggiata innescò la seconda Intifada. E preoccupazione ha espresso Papa Francesco in una telefonata al presidente palestinese Abu Mazen. “Il rischio di un conflitto religioso è sempre in agguato, specie in coincidenza delle feste ebraiche che vengono celebrate anche davanti al Muro occidentale, per gli ebrei il Monte del Tempio”, osserva padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, a Trento su invito della Provincia Tridentina dei Frati Minori e della neonata Associazione Amici di padre Pietro Kaswalder, il missionario trentino in Medio Oriente per 35 anni. “Occorre che ci sia la volontà di riprendere il negoziato fra tutte le parti, ma non solo da parte dei politici: anche i leader religiosi e della società civile devono sentirsi parte in questo processo”, spiega padre Pizzaballa ai microfoni di radio Trentino inBlu. La sua analisi aiuta a comprendere lo scenario geopolitico attuale: dalla crisi epocale dei profughi in fuga dalla guerra in Siria e dal terrorismo dell’Isis, alle condizioni dei cristiani perseguitati.

Come vive la comunità cristiana di Terra Santa?

Pur essendo solo l’1 per cento della popolazione, la presenza cristiana ha un ruolo molto importante nelle relazioni sociali, nel dialogo fra le parti e per la ricerca di una soluzione non violenta ai conflitti.

E’ migliorato il dialogo ecumenico?

Ciò che sta accadendo in Medio Oriente, in particolare la tragedia in Siria e in Iraq, ha contribuito ad unire le diverse comunità cristiane e gli effetti si avvertono anche in Terra Santa.

Lei di recente è stato in Siria tra le macerie di Aleppo, ha visto l’angoscia della gente. Quali soluzioni all’orizzonte?

La vecchia Siria non esiste più. Il Paese è completamente distrutto, diviso tra Isis, Al-Qaeda, aree sotto il controllo di Assad e zone in mano a brigate ribelli. Mancano infrastrutture, elettricità, acqua, cibo, lavoro, gli ospedali sono bloccati dall’embargo. La gente vive sotto bombardamenti continui. A ciò si aggiunge la persecuzione delle minoranze etniche da parte dell'Isis, con i cristiani che stanno pagando un prezzo altissimo, come in Iraq. Al momento non ci sono prospettive, non si intravede la fine.

Siamo al tramonto dell’Oriente cristiano?

In Siria gli sfollati sono circa 7 milioni, oltre due terzi dei cristiani è fuggita, all’interno del Paese o all’estero; sono rimasti solo i poveri e gli anziani nelle zone controllate dai ribelli, un movimento legato ad Al-Qaeda. Tuttavia, sono certo che non siamo alla fine dell’Oriente cristiano, il cristianesimo fa parte delle radici del Medio Oriente.

Che cosa potrebbe fare la comunità internazionale?

La crisi ha come origine le grandi ingiustizie sociali. Oltre a bloccare la vendita di armi, Europa e Usa devono accompagnare i Paesi arabi, o quello che resta di loro, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, e vigilare perché prevalgano i diritti della persona e dell’uguaglianza. Aspetti etici che una parte dell’Islam rifiuta.

In nome del fondamentalismo islamico…

L’Islam sta vivendo una fase drammatica, una lotta interna tra sunniti e sciiti, ma quanto accade è anche una reazione sbagliata di una parte alla modernità, intesa non solo come innovazione e tecnologia, ma anche nelle sue istanze etiche, morali e culturali. All’interno del mondo musulmano manca ancora una riflessione costruttiva in questo senso. Spetta ai leader politici e religiosi riprendere i fili del dialogo e cercare i tratti comuni tra le diverse comunità. La pace si costruisce insieme.

All'Occidente, a ciascuno di noi che cosa chiedono questi Paesi?

Preghiera, e solidarietà. Chiedono di non aver paura, di aprirci all'accoglienza di chi scappa da queste terre martoriate. Per la Terra Santa occorre incoraggiare i pellegrinaggi come segno di fede, pace e vicinanza ai cristiani, alle famiglie ebree e mussulmane.

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