Tre voci dalle periferie esistenziali

Un viaggio in cerca di speranza

Cristian, un giovane profugo nigeriano, di fede cristiana, da più di un anno è ospite a Rovereto dove frequenta la parrocchia di Santa Caterina. Il 23enne ha raccontato la sua storia, simile a quella di tanti altri profughi, approdati in Italia dopo aver affrontato quel viaggio della speranza attraverso il deserto e il mare che spesso per molti si conclude tragicamente.

Una porta sempre aperta

Daniela Salvaterra, infermiera originaria di Tione, è missionaria laica in Perù dal 2005, a 3000 metri sulle Ande, dove opera padre Alessandro Facchini. "Sentivo il desiderio di mettermi al servizio, un modo bello di spendere la vita basato non sull'avere ma sul dare", ha spiegato raccontando l'incontro che le ha cambiato la vita, quello con Blanca: una bambina affetta da artrite reumatoide giovanile. "I genitori non l'avevano mai portata da un medico per mancanza di soldi, l'ho trovata per terra; piangeva, avvolta in uno scialle. L'ho portata in ospedale e poi, con il consenso di padre Alessandro, l'ho accolta in casa". La porta è rimasta aperta e altri bisognosi sono arrivati dopo Blanca, malati cronici e terminali che Daniela accompagnava a Lima per la diagnosi e la chemioterapia. Un'altra abitazione è stata poi aperta e intitolata a madre Teresa di Calcutta. "Non sapevo chi sarebbe arrivato, dal 2008 ospitiamo bambini e ragazzi con gravi disabilità fisiche e mentali, ora le case accolgono 60 tra bambini e donne e 20 ragazzi, alcuni inviati dagli assistenti sociali, altri provenienti da famiglie povere o abbandonati. Hanno bisogno di amore e di non sentirsi rifiutati".

Sguardi e silenzi accanto a chi soffre

"La malattia più brutta è la solitudine, ma ognuno ha qualcosa da dare in ogni fase della vita e, incontrando i sofferenti, il destino dell'altro, nel quale ti rispecchi, inizia a starti a cuore", ha spiegato Samantha Gasperini, della Consulta della Pastorale della Salute, parlando della sua esperienza all'Hospice di Trento, dove sono ricoverati malati in fase terminale, e alla Casa di riposo M. Grazioli di Povo. "Per stare accanto a chi soffre si deve uscire da se stessi, mettere da parte alibi e problemi: ciò che conforta è il semplice stare vicino, dare spazio all'altro e al suo dolore; i dialoghi più belli sono fatti di sguardi e silenzi, la relazione è ciò che tiene viva la persona".

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