“Siamo vicini al popolo turco”

“Quelli che sono morti e stanno morendo e soffrendo ad Ankara, stavano compiendo un atto di pacificazione per la loro terra”

L’attentato suicida che sabato 10 ottobre ad Ankara, alla vigilia delle elezioni politiche anticipate del primo novembre, ha provocato almeno 95 morti (il più grave nella storia della Turchia) e numerosissimi feriti nel corteo che manifestava per la pace segna l’ulteriore scivolamento verso l’incertezza politica in Turchia. Il partito del premier Tayip Erdogan punta il dito contro il Pkk (il partito curdo), i movimenti di sinistra e l’Isis. Il Pkk accusa il governo di cavalcare la strategia della tensione. All’indomani della strage, ecco la testimonianza di don Vigilio Covi, uno dei preti italiani che forse meglio conosce la travagliata Turchia di oggi. Fondatore e responsabile della Fraternità di Tavodo, che da oltre dieci anni tiene viva una piccola comunità a Konya, è rientrato da poco dal Paese.

In In questi giorni varie persone mi hanno raggiunto per telefono: chi, preoccupato, voleva sapere se le nostre sorelle in Turchia sono in pericolo, chi voleva quasi farmi le condoglianze per i fatti di Ankara. Ringrazio i primi per l’attenzione incoraggiante e consolante, e dagli altri accetto volentieri le condoglianze, perché ormai da ventun’anni il popolo turco fa parte della mia e nostra vita, le sue sofferenze sono anche mie, della mia Fraternità e di quella di San Valentino di Ala, nonché della Diocesi, a nome della quale continuiamo il servizio e la preghiera in quella terra.

Anzitutto vorrei tranquillizzare i primi: le nostre sorelle non sono in pericolo, o, meglio, non più di quanto lo siamo noi qui in Italia. La loro attenzione, come la nostra, è volta ad essere come Gesù ci ha incaricati: come agnelli! Siamo agnelli, uniti all’Agnello di Dio, e attenti a realizzare il suo regno senza violenza. Anche quelli che sono morti e stanno morendo e soffrendo (si dice 500 feriti gravi) ad Ankara, stavano compiendo un atto di pacificazione per la loro terra. Senza saperlo, partecipavano al Regno dell’Agnello. È il regno del Dragone che si oppone in tutti i modi alla pace del regno di Dio. E non ha senso cercare o voler sapere quale delle sette teste del Dragone ha preparato, comandato, realizzato l’eccidio disumano, se quella ‘testa’ è dentro o fuori della Turchia, se nel vicino Oriente o nell’estremo Occidente. Il mistero del male non ha confini e nasconde bene le sue mani. Noi cristiani viviamo ovunque nel suo territorio, portando però un altro mondo con noi.

Sono appena tornato dalla Turchia. Ho trovato le sorelle Isabella (di Ranzo) e Serena (di Tesero) ben impegnate a vivere come vivevano in Val di Non i tre Martiri: questi mai si lasciavano scappare una parola o un gesto che potesse essere inteso come provocazione, e, provocati, non rispondevano. Esse hanno l’esempio concreto dai profughi cristiani iracheni e siriani, che accolgono in chiesa per qualche ora di preghiera. Questi sono abituati da secoli a non lamentarsi delle discriminazioni e ingiustizie che subiscono e non si lasciano mai scappare una parola di giudizio o disprezzo verso chi domina o sostiene i dominatori. Con fatica le sorelle imparano anche dai Turchi a non fidarsi mai del tutto dell’uomo, di nessuno. Essi sanno che il loro profeta, di cui benedicono sempre il nome, ha concesso la possibilità di mentire in caso di bisogno, e perciò hanno sviluppato una vita che non conosce il significato di fidarsi di qualcuno. È difficile per noi, ma necessario, imparare ad essere super prudenti: “Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”, come ha detto Gesù!

Ciò non vuol dire che non ricevano quotidianamente segni di tenerezza, di simpatia, offerte di aiuto, gesti di amore concreto. Anche per questo il popolo turco ci è caro, e a maggior ragione soffriamo delle sue sofferenze e godiamo delle sue gioie, della sua giovinezza, come pure del suo desiderio di consegnarsi a Dio e ubbidirgli. Ci ha colpito un fatto. Alcune settimane fa in seguito a un attentato stava crescendo un movimento popolare violento contro i loro Curdi. Dopo tre giorni, senza ordini dall’alto, questa ondata di violenza è improvvisamente cessata. Che è successo? La gru caduta sulla folla alla Mecca ha ucciso anche alcuni Turchi. E in Turchia s’è diffusa questa lettura del fatto: “È un castigo di Dio per i nostri atti violenti”. Questi sono terminati.

Anche a me qualcuno ha offerto molto più di “un bicchier d’acqua”: la possibilità di parlare della mia Casa di Preghiera e del mio pregare a un folto gruppo di giovani. Un’offerta così consistente non l’ho ancora ricevuta qui in Italia. L’attenzione e l’applauso di quei giovani è un mazzo di fiori nella mia preghiera: essi riceveranno una ricompensa più grande di quella che riceverò io alla fine.

don Vigilio Covi

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