Simonino, l’attualità di quel “caso”

Cinquant’anni fa, il 28 ottobre 1965, il vescovo Alessandro Maria Gottardi notificava l’abrogazione del culto al piccolo Simone (il “Simonino” per tanti trentini). Facendo riferimento in particolare allo studio dello storico Eckert su richiesta delle autorità diocesane, Gottardi aveva ottenuto l’autorevole parere favorevole della Congregazione vaticana dei Riti. Come ebbe a spiegare più avanti lo storico mons. Iginio Rogger l’approfondimento storico di quell’episodio ritenuto erroneamente un infanticidio ad opera degli ebrei avvenne in un periodo che anche in Germania registrava simili revisioni: “Il caso Trento si presente però di gran lunga il più documentato – ha scritto mons. Rogger – noi sappiamo ora certamente che gli ebrei di Trento non hanno ucciso il bambino Simone. Se continuassimo a proporre quella tesi e a dostenere il culto del bambino non martirizzato, non saremmo più in buona fede”.

Al di là dell’indubbia valenza nei confronti della comunità ebraica, e più ancor in generale nei confronti della scientificità storica, usando parole care a mons. Iginio Rogger, quest’atto, in contemporanea con la sottoscrizione della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, ha soprattutto saputo inaugurare un nuovo metodo di relazione “con l’altro e la sua fede”.

Se ne ha parlato a Trento mercoledì 28 ottobre con l’intervento del delegato vescovile don Andrea Decarli, che ha richiamato le grandi aperture introdotte dalla dichiarazione Nostra Aetate.

“Oltre a rivedere le pagine di una storia tra le più buie e tristi del nostro passato – ha osservato il direttore del Centro ecumenico Alessandro Martinelli – la vicenda Simonino chiede ancor oggi a noi alcuni atteggiamenti di singolare attualità: impegno in una corretta informazione, necessità di un linguaggio onesto e pulito, opposizione al pregiudizio in quanto tale, superamento dell’altro come minaccia,

Si tratta di questioni non ancora sconfitte, persino nelle nostre aule ecclesiali, poiché ignoranza, paura, delazione e scarsa conoscenza non sono ancora estirpate”.

Martinelli sottolineava l’importanza dell’arma educativa, “in grado di superare gli slogan, le chiacchiere da bar, il “si è sempre fatto così”, per affrontare e scegliere invece il prendersi a cuore, l’interrogarsi, l’assumersi quotidianamente le proprie responsabilità: atteggiamenti urgenti e indispensabili per abitare con fede la storia di tutti. A che cosa serve custodire il passato se non a perfezionare il presente?”

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