Ritorno alla canapa

Dai semi di una varietà da fibra si ricavano olio, farina e altre sostanze ad uso cosmetico. La coltivazione è adatta per zone marginali. Ecco i consigli dell'esperto della Fondazione Mach

Quando si parla del Centro per il trasferimento tecnologico della Fondazione Mach di S. Michele, si pensa subito ai tecnici che prestano consulenza in frutticoltura, viticoltura e zootecnia. Meno vistosa, ma altrettanto utile, è l’attività svolta da quelli che lavorano nei cosiddetti settori minori. Flavio Kaisermann è responsabile dell’Unità che si occupa di piante officinali e segue da vicino le aziende che vi si dedicano. Dall’acquisto del seme o delle piantine, alla coltivazione, alla raccolta, trasformazione e commercializzazione dei derivati. La singolarità della materia obbliga il tecnico a stabilire e mantenere contatti anche con operatori di altre regioni, non solo in Italia, ma anche in altri Stati. I risultati ottenuti con le piante officinali sono notevoli. A coltivarle sono generalmente piccole aziende di montagna, per lo più gestite da donne che contribuiscono a integrare il reddito familiare non necessariamente agricolo.

L’idea di provare e far provare la coltivazione della canapa nel rispetto delle norme vigenti a livello europeo e nazionale Flavio Kaisermann l’ha maturata venendo a contatto con i responsabili di una associazione dell’Alto Adige (Val Venosta). Essi hanno preso spunto da quanto si fa da anni nella vicina Svizzera e sono riusciti a convincere alcune decine di persone che hanno realizzato piccoli campi prova per un totale di 12 ettari.

In Trentino a recepire il suggerimento di Kaisermann sono state tre giovani imprenditrici di Bosentino, Marazzone (Bleggio superiore) e Dorsino (S. Lorenzo in Banale) che gestivano già campi di ortaggi, piccoli frutti e piante officinali.

Sentendo parlare di canapa senza altra specificazione, molti penseranno alla coltivazione di varietà coltivate per ricavarne sostanze stupefacenti. Qualche anziano ricorderà invece la canapa da fibra tessile che in qualche zona del Trentino si coltivava con grande dispendio di energie e scarso reddito, data la lontananza con altre regioni d’Italia quali Veneto (Rovigo), Emilia Romagna, Piemonte (Carmagnola), dove i campi di canapa si estendevano su decine di ettari, avendo a portata di conferimento gli opifici che ritiravano il materiale tessile.

Ad altri verranno in mente i canneti di canapa da seme (canef) che si coltivavano ai bordi dei campi insieme ai girasoli per utilizzare i semi come becchime per uccelli. Qui si fa esclusivo riferimento a varietà di canapa tessile coltivata per ricavare dai semi olio e farina, pagati rispettivamente 28-30 euro e 7-8 euro a chilogrammo, più altre sostanze pregiate utilizzate nella preparazione di cosmetici. Nei tre campi coltivati in Trentino sono stati usati semi forniti dall’Associazione altoatesina. Si tratta di due varietà rispettivamente a taglia alta e a taglia bassa. La seconda risulta più facile da falciare con gli strumenti meccanici usati per la fienagione.

Entrambe sono legalmente autorizzate in quanto risultano iscritte in una apposito registro tenuto dall’Unione europea e dal Ministero della sanità.

Giova infatti ricordare che l’Unione europea a partire dagli anni ’90 ha incentivato il ritorno alla coltivazione della canapa da fibra tessile istituendo un premio a ettaro che al tempo ammontava a 1,4 milioni di lire.

Per avere indicazioni certe e corrette da fornire agli eventuali interessati, abbiamo preso contato con Alessandra Sommovigo, direttrice del CRA SCS di Bologna, già Ente nazionale sementi elette (ENSE), che si occupa di sperimentazione e certificazione di sementi. Altri punti di riferimento indicati dalla ricercatrice sono il CRA CIN (Centro sperimentale coltivazioni industriali) di Bologna e Assocanapa (coordinamento nazionale per la canapicoltura) di Carmagnola (Torino).

Il primo è considerato ente costitutore e conservatore di varietà, il secondo può fornire indicazioni per l’acquisto del seme. Si ricorda che la coltivazione deve ripartire ogni anno con seme nuovo e non è legalmente concesso all’agricoltore utilizzare seme proprio conservato da un anno all’altro. La coltivazione della canapa da fibra che era arrivata in Italia a 100 mila ettari è cessata verso la metà degli anni ’50, non per effetto di norme antidroga, ma per due cause concorrenti: la estrema gravosità della coltivazione e della lavorazione e l’arrivo in Italia alla fine della seconda guerra mondiale del cotone e delle fibre sintetiche (nylon) più moderne e meno costose.

La distinzione fra Cannabis sativa (coltivabile) e Cannabis indica (vietata) è contenuta nel DPR 309/1990 (Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), ma oggi si può oggettivamente ritenere superata. Tutti i generi di canapa appartengono ad unica specie. Il discrimine legale è costituito dal contenuto in tetra-idrossi-cannabinolo (THC) che non deve superare lo 0,2%. Chi avvia una coltivazione di canapa legale deve segnalare l’inizio di attività e le coordinate del campo alla più vicina stazione dei carabinieri. E’ bene conservare i cartellini delle confezioni di seme che garantiscono la provenienza da registro autorizzato.

La superficie coltivata non può essere inferiore a 1000 metri quadrati. Il limite è dovuto al fatto che in caso di ispezione e controllo il campione da analizzare deve essere composto da almeno 200 piante per avere valore legale. Anche il metodo di analisi è stabilito da una norma specifica.

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