Iraq, da culla a tomba del cristianesimo

Ad Arco su invito dell’Associazione “Verso la Mesopotamia” padre Ghazwan Baho

Era la culla del cristianesimo, non solo d'Oriente. La Mesopotamia, terra tra i due fiumi, fascinosa e spirituale capitale dell'umanità, oggi si chiama Iraq, ed è spogliata degli antichi fasti. C'è la guerra: per il territorio, per le risorse, per il primato – o almeno così si dice – di una religione su un'altra. È guerra anche ad Alqosh, cittadina di poche migliaia di abitanti nella provincia di Ninive, villaggio popolato esclusivamente dalla minoranza di cristiani caldei presenti da sempre in Iraq, dove un tempo etnie e fedi convivevano pacificamente.

Martedì 24 novembre sera ad Arco c’era un po’ di Alqosh: presso l’oratorio San Gabriele, l’associazione “Verso la Mesopotamia” ha raccontato la situazione di minaccia e instabilità vissuta dai caldei per voce del rappresentante della comunità, padre Ghazwan Baho. Nel corso della serata di sensibilizzazione è stato presentato in anteprima il documentario di Roberto Spampinato Le Campane di Alqosh, girato per il settimanale “Terra!” di Rete4. C’è stato anche un momento “rock”, con l’opera musicale Quo Vadis, Voci dei migranti.

L'associazione “Verso la Mesopotamia” è nata nel 2009 grazie all'impegno di un gruppo di amici capitanati da Anna Maria Parolari: operante in passato in Palestina e Libano, oggi il gruppo si occupa delle donne incinte irachene. «I cristiani cattolici caldei vivono in una situazione di profondo disagio a causa della recente guerra iniziata con la caduta del regime – ha spiegato padre Baho, che ad Alqosh è un punto di riferimento non solo religioso -, ma almeno, per vicinanza geografica, godiamo della protezione dei kurdi iracheni contro gli attacchi terroristici che frequentemente si verificano a Mosul e Kirkuk».

Ad Alqosh la vita è complicata: gran parte della popolazione è fuggita per paura che il Daesh arrivasse a razziare e uccidere come accaduto sulle colline del Sinjar tra i cristiani yazidi. Non funziona nulla: il comune dipende da Mosul, che da mesi non invia nemmeno i soldi per pagare i dipendenti, non c’è ospedale – il più vicino è sempre a Mosul -, è difficile procurarsi farmaci. «Nel 2012 avevamo contribuito a digitalizzare il centro sanitario, visto che non c’era modo altrimenti di inviare le lastre in ospedale – racconta Parolari, medico ginecologo di professione –, ma nel 2014 la popolazione ha lasciato il paese per la minaccia del Daesh. Altrove hanno distrutto tutto, Alqosh però è rimasta in piedi e parte degli abitanti è potuta tornare, pur vivendo nella paura». Manca tutto, la parrocchia si arrangia come può. È stato allestito un ambulatorio medico per seguire le donne incinte, che però non è attrezzato. “Verso la Mesopotamia” sta lavorando per fornire al paese un lettino ginecologico, un ecografo, un cardiotocografo, materiale d’uso corrente (guanti, siringhe, garze, farmaci base, etc.), computer, scanner e stampante.

Padre Ghazwan ha raccontato la vita ad Alqosh in prima persona, con il suo ottimo italiano. Con lui sul palco, anche il giornalista Roberto Spampinato, autore del documentario proiettato, e Andreius Oraha, rifugiato politico da sette anni in Italia, minacciato in Iraq perché cristiano e “stringer”, cioè collaboratore della stampa estera.

«Speriamo di raccogliere l'aiuto di tanti, perché il popolo iracheno sta soffrendo – sottolinea la presidente Parolari –, ma con grande dignità, e ogni volta che ci si reca da loro noi riceviamo qualcosa, non solo diamo noi. Un esempio ci è arrivato dalle loro elezioni, in cui ci sono i co-candidati: per ogni candidato uomo c'è una donna, e si vota la coppia, non il singolo». Quasi che nelle piccole cose la grandezza di un tempo sia stata preservata.

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