Qui Bolzano, quanto ci ha insegnato il Sinodo!

Il Sinodo della diocesi di Bolzano-Bressanone si chiude martedì 8 dicembre. Lo stesso giorno si apre l’Anno Santo straordinario dedicato alla misericordia. Una coincidenza imprevista. Anche quando alla fine del 2012 mons. Ivo Muser, vescovo da neanche un anno e mezzo, annunciò l’intenzione di chiamare la sua diocesi ad un cammino sinodale, nessuno intuiva che la Chiesa cattolica sarebbe di lì a poco stata interessata dalla duplice scossa di uno stesso sisma. L’11 febbraio 2013, di fronte ai cardinali attoniti, Papa Benedetto avrebbe annunciato le sue dimissioni. Il 13 marzo successivo quegli stessi porporati avrebbero eletto Papa Francesco, uomo venuto “dalla fine del mondo” a rinnovare una Chiesa che il cardinale Ratzinger, nelle sue meditazioni per la Via Crucis del 2005, aveva definito “una barca che fa acqua da tutte le parti”.

Questo il contesto in cui si è svolto in Alto Adige, per due anni, il Sinodo diocesano, il secondo per la diocesi di Bolzano-Bressanone (il primo si era tenuto dal 1970 al 1973). “Sulla sua parola, con gioia e speranza” è il motto proposto dal vescovo Muser, anche in questo caso un’eco dei nuovi percorsi della Chiesa universale, avviati da papa Bergoglio a partire dalla gioia della Buona Notizia, l'Evangelii gaudium.

Il primo pregio del Sinodo è stato quello di rimettere in moto il dialogo. Si è inaugurato, già a fine 2013, con una fase di ascolto. In tutta la diocesi le persone si sono riunite in appositi incontri, aperti a tutti, allo scopo di raccogliere i temi da mettere all’ordine del giorno. Un processo che ha coinvolto migliaia di donne e uomini e che già di per sé ha suscitato partecipazione. Fin da subito è stato messo in chiaro che non esistono nella comunità cristiana “temi tabù”. Si può e si deve parlare di tutto, anche se, nel prendere le decisioni, vanno poi rispettati ruoli e competenze. Così nel formare le dodici commissioni tematiche che hanno lavorato ai primi documenti programmatici, una di esse è stata incaricata di trattare quegli argomenti (il celibato, l’accesso ai sacramenti ecc.) che non sono di competenza di una singola diocesi, in modo da dare comunque un contributo al cammino di riflessione della Chiesa universale.

Lo “stile sinodale” si manifesta nel fatto che il Sinodo è davvero un camminare insieme. Nulla è stato prestabilito, tranne i tempi. Per alcuni troppo brevi per poter parlare di tutto in maniera approfondita. Di fatto alcune questioni sono rimaste in superficie, trattate in modo insufficiente. Alcune soluzioni sono ancora inadeguate richiederanno di essere integrate. E tuttavia è proprio lo “stile sinodale” che permetterà, anche a Sinodo concluso, di riprenderle in mano nelle sedi opportune.

Il Sinodo è stato scuola di convivenza. Sia tra persone che la pensano diversamente che tra gruppi linguistici. In verità non tutti hanno retto e qualcuno si è ritirato. Chi però ha continuato il cammino ha potuto vivere non solo la fatica, ma soprattutto la gioia del dialogo. Per la prima volta tutta la diocesi era riunita senza “sezioni linguistiche” e tra i risultati pratici di questo “percorso fatto insieme” (syn-odos) ci sarà un processo di unificazione di ciò che oggi ancora, sul piano pastorale, viaggia su binari paralleli, con la difficoltà di trovare momenti di incontro.

L’attuazione del Sinodo, in modo imprevisto ma molto opportuno, avverrà nel segno della misericordia.

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