L’anno, complicato, che la politica ha davanti

Non sarà un anno semplice quello che aspetta la politica nel corso del 2016. Sarà l’anno in cui si gioca la conferma o la fine della svolta che, piaccia o meno, Renzi ha imposto all’Italia. Ne sono consapevoli tutti: le opposizioni che si stanno di fatto coalizzando per mettere fuori gioco l’attuale premier, e lo stesso presidente del consiglio che sembra aver deciso di affrontare il toro per il corna scommettendo su sé stesso sulla base del noto assunto “dopo di me il diluvio”.

Ci sono innanzitutto due scadenze tutte politiche da cui non si potrà prescindere. La prima è data dalla tornata elettorale della prossima primavera (sembra sarà a giugno), la seconda dal referendum confermativo sulla riforma elettorale ad ottobre (dando per scontato che non ci saranno intoppi per la sua approvazione definitiva che ha ancora tre passaggi da superare).

Queste scadenze però non si affronteranno in un astratto contesto, ma nel concreto di come si evolverà la situazione economica (ed internazionale). Non è un caso che per le amministrative si sia scelto di tenerle a giugno, dandosi quasi sei mesi di tempo per vedere se si può per allora registrare quella ripresa almeno parziale che alcuni dati sembrerebbero indicare come possibile. Sarà questo contesto a stabilire le chance che le opposizioni possono avere di scalzare l’egemonia del PD renziano.

Certamente le elezioni per i sindaci sono soggette, come è giusto, alle dinamiche proprie delle singole realtà cittadine, ma è anche vero che per far scattare una voglia generalizzata di “punire” il partito del premier è necessario che ci sia una forte spinta di insoddisfazione sociale. Infatti i veri sfidanti, a prescindere dal caso atipico di Roma, sono i due populismi, quello grillino e quello leghista, che si possono saldare solo in un contesto di fallimento delle politiche riformatrici messe in piedi in questi mesi. Se invece la situazione economica andasse stabilizzandosi, o magari progredisse anche quel po’ da essere percepita come in movimento, è probabile che alla fine ci sia un astensionismo tale da non impensierire più di tanto le possibilità di affermazione della classe dirigente del PD.

Come si diceva, l’incognita inevitabile è Roma, che è messa così male e dove il PD è così sfilacciato e screditato, da rendere molto difficile una affermazione del partito del premier. Tuttavia anche in questo caso una situazione generale di ripresa favorirebbe Alfio Marchini piuttosto che i Cinque Stelle e questa sarebbe già per Renzi una soluzione accettabile. Infatti il vero test che può impensierire il segretario-premier è una ulteriore affermazione su larga scala del M5S, perché questo accrediterebbe l’ex creatura di Grillo, oggi piuttosto nelle mani di una nuova classe dirigente cresciuta nelle aule parlamentari, al ruolo di vero antagonista nel ballottaggio che si imporrà con l’Italicum.

Si dice che Renzi abbia dato per scontato un esito non troppo favorevole delle amministrative (ma è una tattica: aspettandosi una catastrofe, il “meno peggio” apparirà già come un mezzo successo), mentre punti decisamente al referendum sulle riforme costituzionali come un test della sua popolarità. Non sarebbe una buona tattica, a meno di non poter avere ad ottobre un quadro roseo di successi in campo economico (soprattutto contrazione della disoccupazione) ed internazionale (è in vista una partita sulla Libia e c’è qualche fuoco d’artificio sulla UE). Dovrebbero ovviamente essere successi indiscutibili e ben presenti all’opinione pubblica, perché il referendum confermativo non ha quorum e il rischio maggiore è che la gente non vada a votare, visto che si tratta di una questione piuttosto tecnica che, come si usa dire, non scalda i cuori.

Se anche Renzi vincesse il referendum, ma con una partecipazione scarsa e di conseguenza con una pronuncia a sua favore ridotta (poiché fra coloro che andranno a votare ci saranno anche tutti i suoi avversari, compresi quelli della sinistra, politica e snob, che arriva sin dentro il suo partito) non avrebbe ottenuto il risultato di legittimazione che gli serve.

Dunque non ha alternative ad imporsi un anno di lavoro duro e di grande impegno ed inventiva: compito non facile nella attuale congiuntura (anche per colpa del suo solipsismo) e soprattutto per la dipendenza notevole da variabili esterne di politica economica ed internazionale su cui può influire poco.

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