Viticoltura, quale futuro?

In una zona tradizionalmente dedita alla coltivazione della vite, le prospettive di espansione sembrano essere buone

Continua il dibattito attorno al futuro della viticoltura in Valle del Chiese. Dopo il convegno “Vitigni resistenti cultura biologica” organizzato dall’associazione “Culturnova” del Chiese nello scorso mese di novembre, la scorsa settimana, il nuovo incontro “Quali prospettive per la viticoltura nella valle del Chiese?”, ideato dalla Cooperativa Agricola Agri 90 in collaborazione con il Consorzio di miglioramento fondiario di Storo in occasione dei venticinque anni di attività della cooperativa storese.

Una domanda esplicita, affidata al presidente della Cavit e della Cantina di Toblino Bruno Luterotti, al tecnico della Cavit Andrea Fustini, a Marino Gobber della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, a Luca Pedron della Cantine Ferrari e rivolta al numeroso pubblico presente in sala. La Valle del Chiese è una zona tradizionalmente dedita alla coltivazione della vite come testimoniano alcuni documenti storici e questo, assieme ad altre produzioni, prime fra tutte la farina gialla di Storo e i piccoli frutti, potrebbe costituire un possibile sbocco lavorativo per alcuni giovani o, quantomeno, un’integrazione di reddito per alcune famiglie.

Se i numeri non sono ancora eclatanti – nel 2014 sono stati conferiti a Toblino 400 quintali di uve chardonnay, 250 di müller thurgau, una trentina di kerner, a Ferrari 75 quintali da 8 conferenti – le prospettive di espansione sembrano essere buone, tanto da lasciare intravedere alcune possibilità di crescita. Sono soprattutto le zone di media montagna a dare le migliori prospettive, come i terrazzamenti di Praso, Bersone e Daone in cui la pendenza, l’altitudine, l’esposizione e l’irraggiamento solare offrono un microclima particolarmente adatto alla coltivazione della vite.

Di interesse anche i campi attorno a Cimego, il falsopiano di Condino (soprattutto nella zona della Pieve di Santa Maria Assunta), la zona di Darzo e le aree più vicine al paese di Storo che, invece, registra temperature più basse assieme ad una piovosità maggiore fra aprile e settembre rispetto alle due stazioni di riferimento di Terlago e Sarche, fattori che non rendono la coltivazione così facile.

Buone prospettive, ma a patto di risolvere alcuni problemi come alcune patologie della vite, in particolare la flavescenza dorata, il frazionamento della proprietà fondiaria a volte suddivisa in appezzamenti troppo piccoli che non consentono rese sufficienti, la grandine e il fatto che ad oggi solo il territorio del comune di Storo è inserito nella Trento doc. Fra le diverse varietà commerciali, secondo i relatori, sarebbe da preferire lo chardonnay, base per gli spumanti Trento doc e molto richiesto dalle cantine.

Un futuro quello della viticoltura, dunque, che pare dare qualche segnale di speranza ad un territorio alla ricerca di nuove possibilità. A questo si aggiunge il messaggio lanciato da Culturnova che prospetta la coltivazione anche di vitigni autoctoni o resistenti (quelli che non hanno bisogno di alcun trattamento) che potrebbero essere complementari ai vitigni più tradizionali. Vitigni oggi in fase di sperimentazione anche grazie ad un accordo con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e che potrebbero costituire un tratto distintivo e caratterizzante della proposta della Valle del Chiese.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina