L’incontro del Papa col nostro amico Kyrill

Con disinvoltura si definiscono “storici” tanti percorsi che invece segnano processi in continua evoluzione. Alcuni di questi, però, hanno il sapore della novità, come l’abbraccio di papa Francesco col patriarca Kyrill. Un evento che, in parte, riguarda da vicino anche noi, Chiesa di Trento, da più di quarant’anni legati all’ortodossia. Era il ‘75 quando il giovane archimandrita Kyrill di Leningrado partecipava al Bernardo Clesio, col metropolita Nikodim, al quarto incontro bilaterale cattolico ortodosso. Quell’anno segnò l’inizio di una relazione singolare tra le due realtà, portando all’intensificarsi di una particolare sororità. Non stiamo certo affermando che l’incontro all’Avana sia frutto di questo – ci mancherebbe! – ma l’idea, chiara, che abbiamo vissuto per anni, non fa che avvallarlo, nel riaffermare il primato delle Chiese locali. I buoni rapporti con l’ortodossia sono stati segnati proprio dalla relazione tra Chiese particolari. Se il cattolicesimo, negli anni ’90, poteva lasciar intravedere mire espansionistiche, la venuta di papa Francesco e quel suo continuo precisarsi “vescovo di Roma”, ha decisamente mutato l’ottica. Scriveva il patriarca Alessio, nel ‘93, al vescovo Sartori: «Sullo sfondo delle attuali tensioni, i nostri contatti rappresentano un felice esempio. La via del sincero amore fraterno è l’unico mezzo per il rafforzamento della collaborazione ecumenica e il nobile esempio delle diocesi di Trento, Milano, Verona, è veramente ispiratore». Aggiungendo: «Voglio esprimere tutta la mia ammirazione per il modello ecumenico di Trento: una Chiesa che si comporta veramente come Chiesa sorella. Evita ogni proselitismo e senza nulla chiedere in cambio ci fa sperimentare l’amore fraterno, sostenendo la nostra debolezza con progetti concordati». Parole non così lontane dallo “stile Bergoglio”, sottolineate nel ’99 ancora da Kyrill, all’epoca ministro degli esteri della Chiesa moscovita, invitato all’assemblea diocesana dal vescovo Bressan. Parlare di Chiese locali significa riconoscere l’identità di una Chiesa nel suo territorio, oltre a dare autorevolezza alla diversità dei pensieri e delle dottrine. Tutto questo appare chiaramente nei gesti di papa Francesco tesi a vivere l’ecumenismo non solo come questione tra Chiese, quanto come stile ecclesiale, così come espresso sin dai primi secoli. Lo conferma lo stesso processo che porterà presto l’ortodossia al suo primo Concilio moderno. Questo stile, ovvero il riconoscersi “già uniti in Cristo”, insieme all’urgenza di testimoniarlo, sembra costituire dunque il senso di questo abbraccio, chiamato quanto prima ad estendersi a tutto quel mondo cristiano che oggi, non senza fatica, vive nuove stagioni. Sintomatica poi la scelta di una Chiesa locale così periferica da non esser certo mai stata proposta come meta di riconciliazione. Eppure mai come oggi terra ponte, lontana anche da quelle logiche europee che ci hanno tragicamente divisi. Se nel ’64 Paolo VI affidò alla nostra Chiesa il compito di costruire ponti, non sarà poi così strano pensare a Cuba come a un passaggio di testimone. Noi non saremo presenti a quel tavolo; non mancheranno invece né don Silvio, né padre Nilo, né quel piccolo tratto di storia trentina che in tutto questo ha sperato e creduto sino all’ultimo.

Alessandro Martinelli, direttore Ufficio Ecumenico Diocesano

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina