Uomo di preghiera e di annuncio

“Noi vescovi abbiamo questa responsabilità di essere testimoni: testimoni che il Signore Gesù è vivo, che il Signore Gesù è risorto. (…) La nostra vita dev’essere questo: una testimonianza”

Uomo di preghiera, di annuncio, di testimonianza. Ma soprattutto “pastore con l’odore delle pecore”. Tradotto, un pastore vicino alla gente. E' questa la figura del vescovo che emerge dall’insegnamento di Papa Francesco, che con il suo nuovo stile pastorale ha riportato d’attualità il dibattito sul modo di concepire la figura del vescovo nella Chiesa cattolica.

Il vescovo deve essere persona di preghiera. Perché “se un vescovo non prega, il popolo di Dio ne soffre”. Compito del vescovo “è quello di pregare”. E di “annunciare la Risurrezione di Gesù”. All'omelia della Messa del mattino a Casa Santa Marta, il 22 gennaio scorso, Papa Francesco è tornato a delineare peculiarità, doti e caratteristiche del vescovo. Non è la prima volta che Bergoglio interviene su questo tema, che, a giudicare da questo scorcio di pontificato, sembra stargli molto a cuore.

Fin dalla sua prima apparizione sulla balconata di San Pietro, Francesco si è presentato come “vescovo di Roma”. A sottolineare lo stretto legame che c'è tra lui e il suo popolo, tra il vescovo e la Chiesa locale. E da Santa Marta anche in quest'ultima occasione lo ha ribadito: “Noi vescovi – ha detto – abbiamo la responsabilità della testimonianza della Risurrezione di Cristo”. In continuità con la missione dei Dodici Apostoli che, sono sempre parole di Francesco, “sono i primi vescovi”. Quanto ai compiti, sottolineava, il più importante non è quello di elaborare piani pastorali, dettando le linee di azione della diocesi (“no, no” ha rimarcato con enfasi), ma quello della preghiera e della testimonianza (“cioè predicare”). Due compiti non facili, riconosce Francesco, che fanno dei vescovi “le colonne della Chiesa”. Ed ecco perché se “queste colonne si indeboliscono perché il vescovo non prega o prega poco” o perché “non annuncia il Vangelo” anche “la Chiesa si indebolisce” e soffre: “Il popolo di Dio soffre. Perché le colonne sono deboli”.

Già molti anni prima l'allora cardinale Bergoglio aveva tracciato le coordinate della figura del vescovo nel Terzo millennio, nella sua relazione al termine del Sinodo dei vescovi argentini (ripresa dalla rivista Il Regno), il 12 ottobre 2001. Il profilo del vescovo tracciato dal futuro Papa Francesco è quello di un uomo di preghiera, chiamato ad essere santo, in forza del dono ricevuto, e a guidare “mediante la sua vita” i fedeli verso la santità: “Ogni vescovo dev'essere per loro il modello di una vita santa”. La santità del vescovo “si esprime in due passioni: la passione per il Vangelo di Gesù Cristo e l'amore per il suo popolo che ha bisogno della salvezza”. Come maestro della fede “il vescovo ha bisogno di una formazione permanente” in ambito teologico, morale, pastorale e spirituale. E strettamente legata alla santità del vescovo “è la sua povertà”: “si tratta di perseguire quel radicalismo evangelico per il quale beato è chi si fa povero in vista del Regno, per mettersi nella sequela di Gesù-povero”.

A tracciare l'identikit del vescovo secondo Papa Francesco aiutano anche le parole pronunciate nell'incontro con la Congregazione per i vescovi a Roma, nel 2013, con l’invito ai vescovi ad accogliere tutti gli uomini e le donne, a lasciare aperta la porta della propria casa e a non usare le diocesi per fare carriera (un rischio, quello della “malattia del carrierismo”, contro il quale Papa Francesco mette in guardia più volte).

Il vescovo per Papa Francesco è il “pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia di Dio”. Il vescovo "è in cammino con e nel suo gregge", anche “nelle periferie delle diocesi e in tutte quelle periferie esistenziali dove c'è sofferenza, solitudine, degrado umano”, cammina con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgono a lui, “condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze”, come fratello e amico, ma ancora di più come padre, capace “di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare". Ancora, il vescovo deve essere vicino ai suoi sacerdoti (“non è mai tempo perso quello passato con i sacerdoti!”), che “sono il primo prossimo del vescovo, indispensabili collaboratori di cui ricercare il consiglio e l'aiuto e di cui prendersi cura come padri, fratelli e amici".

“Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. (…) Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, (…) che non siano ambiziosi”, aveva ricordato nel giugno 2013 ai Rappresentanti Pontifici che aiutano il Papa nel delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali. E l'aveva ribadito nel febbraio 2014 ricevendo in udienza la congregazione per i vescovi: “L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. La Chiesa “ha bisogno di seminatori umili e fiduciosi della verità. Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando”. Uomini “pazienti”, “semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi”, dirà intervenendo per la prima volta all’Assemblea Generale della Cei.

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