Damiano Tommasi: “Il mio calcio libero”

Damiano Tommasi con i giornalisti Pasqualotto e Bizzotto
Meno di due minuti è il tempo di possesso palla di un giocatore in una partita. L’importante, diceva il mio ex allenatore Zdenek Zeman, è che sappia cosa fare nei restanti 88 più recupero”. Cosa fare in campo e fuori l’ha sempre saputo l’ex centrocampista della Roma campione d’Italia 2000/’01, Damiano Tommasi, che lunedì 15 febbraio ha partecipato, a Trento (“Città alla quale sono legatissimo, grazie al mio agente Andrea Pretti”), all’evento formativo “Storie di sport, storie di pallone, storie di vita”, organizzato dal gruppo regionale dell’Unione Stampa Sportiva Italiana presieduto da Michele Pasqualotto e presentato dal telecronista Rai della Nazionale, Stefano Bizzotto.Per l’attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, che lo scorso luglio, a 41 anni, ha disputato (segnando il gol della bandiera, “La mia unica rete nelle coppe europee. Fino adesso…”) i preliminari di UEFA Europa League con la maglia de La Fiorita, società del Castello di Montegiardino, il più piccolo della Repubblica di San Marino, “Palla al centro” non può essere solo il titolo del libro (Damolgraf Editore, 2015) che gli ha recentemente dedicato il giornalista veneto Marco Hrabar.

Un libro che racconta “la magia di un giocattolo che è il pallone” e che ripercorre, attraverso diversi aneddoti la vita e la carriera di un calciatore capace, dopo il terribile infortunio del luglio 2004, di rientrare 13 mesi dopo al minimo di contratto (30 mila euro annui lordi) ma anche di dichiararsi, tra il 1994 e il ’95 ai tempi dell’Hellas Verona, obiettore di coscienza svolgendo il servizio civile a Radiotelepace.

“Il mio calcio, quello dei miei quattro fratelli, di mio cugino e del mio miglior amico”, ricorda Tommasi, tuttora giocatore in Seconda Categoria dell’U.S. Sant’Anna d’Alfaedo, la squadra del suo paese nell’alta Valpolicella, “era artigianale e libero. Artigianale perché il risultato si dimenticava, libero perché non aveva secondi fini”.

Un calcio che, soprattutto, non aveva adulti a dettare le regole. “A livello giovanile è, o dovrebbe essere, dei bambini per i bambini e non dell’adulto per l’adulto”, sottolinea il ‘numero 17’ azzurro ai Mondiali 2002 di Corea e Giappone, nei quali, oltre a disputare per intero tutte le partite, realizzò anche un gol ingiustamente annullato. Con errori ed eccesso di protagonismo, Tommasi continua a scontrarsi anche adesso che è alla guida dell’Assocalciatori. “Purtroppo- afferma – l’attaccamento alla poltrona è più forte del rettangolo verde e di qualsiasi prospettiva. La ‘mediaticità’ è una droga e può essere devastante, a maggior ragione se gestita da chi ha i capelli bianchi”.

Non è un caso, forse, che il campionato di Serie A (27 anni l’età media) sia il secondo più vecchio, dopo quello cipriota. “Far sentire la voce dei calciatori e fare in modo che abbiano sempre qualcosa da dire è il mio obiettivo dal giorno dell’elezione, nel maggio 2011”, spiega il massimo dirigente dell’AIC, che conta 15 mila tesserati, 12 mila dei quali tra Dilettanti, calcio a 5 e femminile.

“Oggi i valori sono spesso all’opposto di quelli del marketing. È difficile affezionarsi alla maglia rossa del Napoli o a quella verde della Juventus. Anche per questo ormai i bambini sono tifosi dei calciatori e non delle squadre. Si vogliono riempire gli stadi, ma non ci si cura dello spettacolo che si offre. Sebbene il Valencia, in Spagna, prenda meno del Carpi per i diritti televisivi”.

Da una parte il business senza senso (di appartenenza), dall’altra lo sport insomma. “Per uscire dalla marginalità del 20% che è il sindacato dei calciatori in Consiglio Federale, dobbiamo valorizzare quello che siamo in mezzo al campo”, conclude Tommasi. “Il prossimo presidente della FIGC dovrà avere l’appoggio della parte tecnica, allenatori compresi”. E se fosse proprio Tommasi il successore di Carlo Tavecchio? “Chi mi vuole davvero bene, non me lo augura…”.

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