Il brusio dell’universo

“Dietro a questo successo c’è una storia costellata di tentativi, portati avanti da tante generazioni di ricercatori. E Trento ha scritto una buona parte di questa storia”, dice il prof. Giovanni Prodi dell’Università di Trento

E’ arrivato da distanze inimmaginabili – 1,3 miliardi di anni luce -, ma è arrivato: il 14 settembre 2015 l’urlo di dolore di due buchi neri che collassano l’uno dentro l’altro (in realtà, un “trillo” appena percettibile) è stato registrato dalle antenne dei due osservatori di onde gravitazionali del consorzio Ligo negli Stati Uniti. E dopo le doverose, scrupolose verifiche degli scienziati americani e dei loro colleghi europei del consorzio “gemello” Virgo, l’11 febbraio scorso la notizia della conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali, che apre una nuova finestra sulla conoscenza dell’universo, è stata pubblicata sulla rivista Physical Review Letters e resa nota al mondo. Il merito di aver cominciato a scrivere un capitolo nuovo e promettente per la fisica e per la scienza tutta va a un gruppo di oltre mille ricercatori di tutto il mondo, al quale ha dato e continua a dare un fondamentale apporto un team del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, guidato dal prof. Lorenzo Pavesi, e del Tifpa (Trento Institute for Fundamental Physics Applications), insieme a ricercatori dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Padova, coordinato dal fisico sperimentale Giovanni Prodi, impegnato da anni nella caccia alle onde gravitazionali e parte attiva anche in questa ultima, epocale scoperta. Al Dipartimento di Fisica, sulla collina di Povo, si respira un misto di eccitazione e di orgoglio, ma già ci si è buttati a capofitto nel lavoro. Perché la caccia alle onde gravitazionali vede Trento protagonista anche nello spazio: sono stati progettati qui i sensori inerziali liberati proprio in questi giorni all’interno del satellite Lisa Pathfinder, lanciato il 3 dicembre scorso dall'Agenzia Spaziale Europea(Esa) con il contributo dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi).

Professor Prodi, l’11 febbraio l’annuncio definito subito “storico”, rivoluzionario per la fisica: le onde gravitazionali, previste esattamente un secolo fa da Albert Einstein, esistono. Qualcuno ha parlato di “scoperta del secolo”. Concorda?

“Sì, è il punto di arrivo di un’attività estremamente lunga. Abbiamo 50 anni di sviluppo di rivelatori alle spalle. Ma è soprattutto un punto di partenza per un nuovo tipo di astronomia. Questo è l’aspetto più importante”.

Riavvolgiamo il nastro al 14 settembre 2015, e precisamente alle 10.50.

“E’ stato emozionante. Negli Stati Uniti i rivelatori di onde gravitazionali di Livingston (Louisiana) e Hanford (Washington) erano in funzione, ma ancora in fase di test. L’unità di ricerca di Hannover si è accorta che c’era qualcosa. Quando si sono resi conto che non era un falso allarme hanno allertato la rete di circa mille ricercatori”.

In quel momento vi siete resi conto che era accaduto qualcosa di davvero importante.

“Inizialmente si poteva pensare che fosse un’esercitazione, come già in passato. Ma poi l’emozione è diventata fortissima, perché abbiamo realizzato che così non era: era un segnale della Natura”.

Cosa sono le onde gravitazionali? Qualcuno fa il paragone con la goccia che cade nello stagno creando onde che si propagano sulla superficie. In questo caso la superficie è quella dello spaziotempo, che però non ha solo due dimensioni…

“L’immagine è una semplificazione, nel nostro spaziotempo abbiamo quattro dimensioni: le tre spaziali e una temporale, intrecciate. L’intuizione di Albert Einstein fu proprio quella di dire che lo spaziotempo non è rigido, ma è deformato dalla massa dei corpi celesti e può essere un mezzo in cui si propagano onde che fanno allontanare e avvicinare i corpi tra loro”.

L‘aspetto più problematico nella caccia alle onde gravitazionali?

“La sfida è duplice. Da una parte, costruire rivelatori con sensibilità mai viste prima (oggi ci permettono di scrutare un volume di universo cento volte più grande rispetto a quello che scrutavamo nel 2010). Dall’altra, sviluppare sistemi di analisi dei dati capaci di setacciare, nel rumore di fondo, quel bisbiglio, quel piccolo ‘bump’, che è il segnale che proviene dall’universo”.

In questo caso il segnale veniva dalla collisione di due buchi neri.

“Questa è una scoperta nella scoperta. Non solo abbiamo confermato che l'onda gravitazionale attraversa la Terra, ma abbiamo anche raccolto informazioni su un sistema di due buchi neri. E' la prima osservazione diretta che esistono veramente questi oggetti e che la loro fusione segue le leggi della gravitazione così come Einstein aveva predetto un secolo fa”.

E’ una conferma sperimentale della teoria della relatività generale di Albert Einstein. Ed è anche una conferma che il nostro modello interpretativo dell'universo funziona, spiega bene la realtà.

“Sicuramente ora abbiamo una freccia in più al nostro arco. Le teorie costruite sulla relatività generale, per ora, si sono dimostrate efficaci”.

Perché è importante la scoperta? Si apre davvero una nuova era per la fisica?

“Aprendo questa nuova finestra di osservazione ci imbatteremo sicuramente in qualcosa di sconosciuto, di imprevisto. E’ sempre successo. Ma è confortante sapere che la teoria principale è come un faro che ci guida in questa nuova esplorazione”.

Più di mille scienziati coinvolti di 133 istituzioni scientifiche di tutto il mondo: quale il ruolo dell'Italia, e di Trento in particolare?

“La collaborazione è imponente come richiede lo scopo ambizioso della ricerca. Il ruolo italiano è duplice. Abbiamo in costruzione a Cascina, vicino a Pisa, insieme ai collaboratori francesi e olandesi, il rivelatore Virgo, che quest’anno, dall’autunno, si aggiungerà agli osservatori americani Ligo, consentendo un salto di qualità di tutta la rete di osservatori. L’altro contributo italiano, e in particolare del gruppo di Padova e Trento che io coordino, è all’analisi dei dati”.

Per Trento è il coronamento di 30 anni di ricerca: Carlo Rovelli sul Corriere ricordava le esplorazioni artigianali di Massimo Cerdonio e Stefano Vitale con i superconduttori.

“Per l’Università di Trento sono 30 anni di sviluppi sperimentali alla caccia di effetti di relatività generale. Io ho cominciato la mia tesi di laurea con Cerdonio e Vitale, lavori pionieristici. Dietro al successo di questa prima osservazione delle onde gravitazionali c’è una storia costellata di tanti tentativi, portati avanti da tante generazioni di ricercatori. Noi siamo solo la punta di un iceberg. E Trento ha scritto una buona parte di questa storia”.

La caccia alle onde gravitazionali vede Trento protagonista anche nello spazio. Il 3 dicembre 2015 il lancio di Lisa Pathfinder. E il 16 febbraio, pochi giorni fa, sono stati liberati all’interno del satellite i sensori inerziali per le future misurazioni.

“E’ un successo del gruppo guidato dal prof. Stefano Vitale, frutto del lavoro di 15 anni di sviluppo del satellite”.

Due masse in lega d’oro e di platino, sospese in assenza di gravità all’interno della sonda, e un sistema laser che misurerà lo spostamento relativo delle due masse.

“I primi controlli hanno mostrato che tutto funziona secondo le attese. E’ un successo tecnologico che ci conforta nella costruzione di nuovi osservatori delle onde gravitazionali con base nello spazio”.

Possiamo dire che cambia radicalmente il nostro modo di osservare lo spazio, un po’ come avvenne con la messa in orbita del telescopio Hubble nel 1990 che permise l'osservazione astronomica dall'esterno dell'atmosfera terrestre?

“E’ una rivoluzione che ha una portata ancora maggiore. Siamo appena all’inizio, ma avremo informazioni ancora più importanti di quelle pur preziosissime fornite da Hubble. Questo nuovo organo di senso di cui l’umanità si è dotata per osservare l’universo darà grandi soddisfazioni”.

Si apre una nuova "finestra" di indagine sul cosmo, come sta avvenendo con la neonata astrofisica gravitazionale?

“Credo proprio che dovremo inventare nuovi termini, come astrofisica o astronomia gravitazionale, perché le potenzialità di questo campo di indagine sono molto, molto grandi”.

Un’ultima curiosità: come avete fatto a mantenere il riserbo fino all'11 febbraio, data dello storico annuncio?

“E’ la coscienza che dobbiamo compiere un lavoro scrupoloso e freddo. L’entusiasmo è necessario al nostro lavoro, ma quando scrutiniamo i nostri risultati dobbiamo sentirci liberi di verificare le osservazioni, di dibatterne al nostro interno, e possiamo farlo solo se siamo liberi di lavorare in pace, senza la pressione esterna che di fronte all’enormità della scoperta ci avrebbe tolto serenità”.

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