L’approdo

C’è un’Europa che si chiude. E c’è un’Europa che sperimenta soluzioni rispettose della dignità e dei diritti umani, come i corridoi umanitari

C’è un’Europa che erige barriere, che chiude i confini. Un’Europa divisa al suo interno, incerta sul da farsi, timorosa. Di fronte alle pressioni – qualcuno ha parlato di “ricatti” – del governo turco, all'inizio della settimana il Consiglio europeo alla fine ha deciso di non decidere, rinviando al prossimo vertice del 17-18 marzo il fascicolo sulle migrazioni. Il governo di Ankara chiede più soldi (6 miliardi anziché i 3 già promessi dall’Unione) per tenere entro i propri confini i profughi che arrivano dalla Siria e l’accelerazione dei negoziati per l’adesione alla “casa comune”. Ma pochi governi si fidano e le ultime repressioni alla libertà di stampa – con il sequestro del quotidiano Zaman da parte delle autorità – confermano i timori europei. I deputati all'Europarlamento mercoledì 9 marzo nel dibattito in plenaria con il Consiglio e la Commissione europea hanno chiesto chiarimenti in merito al rispetto delle norme internazionali in materia di asilo ed espresso preoccupazione per le minacce alla libertà di stampa così come per il trattamento riservato alle minoranze curde. Per la maggior parte dei leader dei gruppi politici i negoziati di adesione con la Turchia non dovrebbero essere collegati alla questione dei profughi. Poco soddisfatte si dicono anche le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani. Di ipotesi di accordo “cinico, irrealistico, inumano” parla Medici Senza Frontiere, mentre il Sir, l'agenzia di informazione della Cei, parla di “strano baratto”: soldi e visti in cambio di campi profughi. La Turchia si impegnerebbe a far sì che, per ogni siriano riammesso dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell’Ue, secondo l’accordo bilaterale greco-turco in materia di riammissione.

E c'è un'Europa che caparbiamente cerca soluzioni alternative alle chiusure egoistiche (e inutili), sperimentando tentativi, come quello dei corridoi umanitari salutati con favore anche da Papa Francesco, il primo dei quali ha portato in Italia, sottraendoli ai rapaci interessi dei trafficanti di esseri umani, 93 siriani, 29 dei quali giunti a Trento.

In uno scenario in cui si innalzano barriere, potenziando i controlli ai confini, senza che ciò interrompa i viaggi via mare e via terra, i corridoi umanitari possono rappresentare una speranza non solo per i migranti, ma anche per l'Europa stessa. E’ il messaggio che arriva dal dibattito promosso sabato 5 marzo a Trento dalla Fondazione Villa Sant’Ignazio (VSI), il cui filo conduttore, hanno osservato il presidente della cooperativa VSI, Riccardo Baldo, e il presidente dell’omonima Fondazione, padre Alberto Remondini, è stato la volontà di mettere al centro la persona. “La chiave è l’incontro, che fa cadere le barriere”, concordava l’assessore provinciale alla salute e politiche sociali, Luca Zeni, individuando nella scelta di collocare i richiedenti asilo in piccoli nuclei sul territorio il punto di forza del modello “virtuoso” di accoglienza adottato dalla Provincia Autonoma di Trento. Padre Camillo Ripamonti, presidente della Fondazione Astalli di Roma, ha svolto una precisa disanima delle dinamiche migratorie nel corso degli ultimi mesi, stigmatizzando un certo modo di fare informazione che deforma i fatti, presentando come un’emergenza quello che in realtà è un fenomeno strutturale e globale. “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui rifugiati si intitola non a caso ‘Un mondo in guerra’: 60 milioni di persone in fuga dai conflitti, 42.500 ogni giorno; significa che 1 abitante del pianeta su 122 è un profugo”. Le misure adottate da alcuni Paesi – come la confisca dei beni dei migranti per pagare le spese per l’accoglienza – “ci ricordano un passato che vorremmo dimenticare”, mentre di fronte a un quadro complesso “che chiederebbe soluzioni complesse”, la risposta della politica appare largamente insufficiente, soprattutto “perché non si tiene conto del progetto migratorio delle persone”. I corridoi umanitari sono l’unica alternativa legale all’illegalità dei traffici di esseri umani e della chiusura delle frontiere, ha concluso, per dare risposta a chi cerca un approdo sicuro, quell’approdo che oggi non c’è.

Parole forti contro i populismi dilaganti in Europa e contro chi innalza nuove barriere sono venute dall'on. Mario Marazziti, esponente di Democrazia Solidale e presidente della Commissione sanità e affari sociali della Camera, che a Trento ha incontrato le sette famiglie siriane ospitate dalla Diocesi a Villa San Nicolò (due loro rappresentanti hanno rivolto un breve saluto e un ringraziamento al convegno di sabato). “Se l’Europa accetta come normale che si rimettano le frontiere, l’Europa stessa non c’è più”, ha osservato, auspicando uno scatto di orgoglio da parte dei Paesi fondatori perché “rilancino il sogno europeo”. Soluzioni in tempi brevi non sono ipotizzabili, ha ammonito; serve piuttosto un lavoro paziente, culturale e politico, perché “la gente è bombardata da semplificazioni brutali”. Marazziti ha poi spiegato la genesi dell’idea dei corridoi umanitari, un’idea messa a fuoco dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo al largo dell’isola di Lampedusa e che fa leva sulla direttiva europea per la protezione temporanea. “Dobbiamo essere orgogliosi di questo primo successo – ha detto riferendosi all’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, di cui è stato presidente, della Tavola valdese e della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, che punta a portare in salvo, senza costi per lo Stato, un migliaio di richiedenti asilo oltre che dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia nei prossimi due anni – e confidare in un contagio positivo di altri Paesi europei: abbiamo dimostrato che è possibile, i viaggi sicuri e legali sono l’uovo di Colombo per contrastare i viaggi illegali e il traffico di esseri umani”.

Un primo, localizzato “effetto contagio” dei corridoi umanitari è stato documentato dagli interventi dei responsabili di due organizzazioni del territorio che si stanno impegnando per l’apertura delle frontiere e per un concreto dialogo fra trentini e rifugiati. Claude Rotelli, presidente di Volontarius, l’associazione che al Brennero si occupa di assistere i profughi in transito, ha ricordato gli ostacoli inizialmente frapposti all’attività dell’associazione (“Volevano denunciarci per occupazione di suolo pubblico per la nostra presenza alla stazione”), ma anche il positivo superamento delle piccole gelosie esistenti fra le associazioni del territorio, fino al significativo “cambio di passo”, così l’ha definito, della politica locale, che oggi “si preoccupa per l’inserimento abitativo e lavorativo dei profughi”. Cristian Gatti, direttore della Fondazione Comunità Solidale, che per conto della Diocesi di Trento accompagna le famiglie siriane nel non facile percorso di inclusione e integrazione nella comunità trentina, ha raccontato con partecipazione i primi giorni dei siriani in Trentino.

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