Il verde che cura

I 30 ospiti della struttura terapeutica trovano nel lavoro nei campi, adatto alle proprie capacità, uno stimolo a ritrovare fiducia negli altri e in se stessi

Santa Massenza, 15 marzo 2016 – I rametti d’ulivo, nella domenica delle Palme, saranno distribuiti a Casa Lamar e nelle parrocchie di Padergnone e Vezzano. Alcuni giovani da stamattina sono impegnati a confezionarli nel giardino di Casa di Giano. “Per noi è diventata ormai una piacevole tradizione, li prepariamo volentieri”, spiega Diego Nuzzo, che coordina tutte le attività che gli utenti svolgono durante le loro giornate nella campagna che circonda la struttura residenziale. Gestita dal Centro Trentino di Solidarietà e di proprietà della diocesi di Trento, ospita trenta pazienti a “doppia diagnosi”, segnalati dai servizi sanitari territoriali. Italiani e stranieri, hanno tra i venti e i sessant’anni.

Nonostante la neve marzolina, la natura si sta risvegliando in valle dei Laghi. Per coloro che si occupano quotidianamente della cura del verde c’è già tanto da fare: si legano le viti con le “strope”, si dispongono ordinatamente la fascine con i rami appena tagliati, in un campicello si preparano i solchi per i bulbi di cipolla. “Prima quello centrale, poi, alla stessa distanza gli altri due”, suggerisce Stefano, uno degli operatori che sta seguendo l’operazione assieme a Bruno, uno dei tanti appassionati volontari che si sono legati alla comunità, mettendo a disposizione tempo, braccia e solide competenze in campo agricolo.

Per gli ulivi è tempo di potatura. Le 160 giovani piante – dai tre agli otto anni di vita e alcune di loro hanno già cominciato a dare frutto – hanno bisogno di cure e attenzioni. Poco sopra, su uno dei terrazzamenti che caratterizzano questo riparato e ameno spicchio di terra, quattro “nonni” secolari li osservano silenziosamente. “Là, invece – ci dice Nuzzo, indicandoci un piccolo terreno poco sotto le colorate arnie delle api – lo scorso anno abbiamo provato a seminare il grano che ci ha dato la farina per fare il pane”. E ancora gli alberi da frutto e il grande orto che attende solo di essere lavorato.

Le attività procedono in un concentrato silenzio, rotto solo dal raglio dell'asino. “Quando chiediamo ai nostri ragazzi cosa sanno fare spesso la risposta è 'niente'”, sottolinea Stefano. “Ma le potenzialità ci sono e possono essere riscoperte e sviluppate concentrandosi sulle attività della campagna, che sono creative e aiutano a socializzare”.

Nel rispetto della natura, si vuole quindi offrire la possibilità di misurarsi con azioni concrete. “La fatica quotidiana, lo sporcarsi le mani, aiutano a ritrovare il contatto con la realtà”, precisa Nuzzo. “L'ansia e l'impulsività si scontrano con la lentezza, con i lunghi tempi di attesa: si semina e si aspetta. È una metafora della vita: solo chi ha pazienza potrà cogliere i frutti del suo lavoro”. E apprezzarli a tavola, perché tutto ciò che viene prodotto viene anche poi consumato da operatori e residenti. “È un cerchio si chiude nei nostri piatti, una filiera corta all'interno della comunità”.

Finalmente ci stanno pensando anche i nostri legislatori provinciali (vedi articolo sotto): prendersi cura di un campo, di una pianta, significa ricominciare anche a prendersi cura di sé stessi. Un lento riaprirsi alla vita che parte dall'accorgersi dei piccoli cambiamenti: una nuova pianta che nasce e cresce, i suoi frutti che, giorno dopo giorno, maturano al sole, la bellezza del paesaggio, la compagnia delle caprette e delle galline. Così il lavoro diventa leva terapeutica, uno dei principi dell’agricoltura sociale e sostenibile: per la terra – che si coltiva in modo completamente naturale – e “a misura di utente” che deve essere messo nelle condizioni di poter impegnarsi e dare secondo le sue possibilità.

“Per noi è molto meglio osservare nel fare che nel dire”, continua Nuzzo. “Non si lavora da soli, ma in gruppo, bisogna collaborare per ottenere un risultato: la vita in comunità – conclude il coordinatore – non è altro che un tentativo di preparare a quello che sarà un futuro reinserimento, più positivo possibile, nella società”.

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