L’innovazione invisibile

Migliaia di imprese generano innovazione continuando a imparare, sperimentare e applicare nuovi metodi e tecniche. Ma la spesa delle nostre imprese in ricerca e sviluppo è ancora molto inferiore a quella della Zona Euro

Il nostro tessuto imprenditoriale è poco innovativo? Lo si sente dire, ma non è del tutto vero. Secondo molti imprenditori, un’azienda che riesce a rimanere sul mercato è di per se innovativa. Nel lontano 1986 Franco Mattei (Quarant'anni di economia italiana) scriveva: «L’innovazione tecnologica di per se vale ben poco se non esistono le innumerevoli forze imprenditoriali che, nel perseguire le loro utilità, innovando riescono a produrre economicamente. … L'innovazione in senso ampio vuol dire – quindi – soprattutto mercato». Purché, ammonisce Silvio Goglio (La Regione Trentino Alto Adige nel XX Secolo, 2009), situazioni di monopolio o di rendita non creino meri trasferimenti di reddito, senza generare nuovo prodotto sociale.

Bisogna perciò vedere come e quanto si innova. Torna utile per questo la classica distinzione fra innovazione «radicale» e «incrementale». Dalla prima nascono beni con prestazioni, materiali e componenti molto diversi da quelli in commercio, oppure metodi di produzione non convenzionali. È spinta dall’esterno, cioè dal mercato e dalla scienza, dunque tipicamente discontinua. L’innovazione incrementale, il cui impulso proviene dall’interno, consiste invece in un miglioramento progressivo e continuo, pur sensibile, dei beni, dei servizi o delle tecniche di produzione. La prima è più dirompente, la seconda di gran lunga più diffusa.

In effetti, c’è molto più calore nel mare che in un cerino acceso, ma con l’acqua di mare non si fa il fuoco. Come dire che l’innovazione serve sia concentrata (radicale) sia diluita (incrementale). In Trentino le abbiamo entrambe, grazie ai centri di ricerca pubblici (quali Università, FBK, FEM) e privati (come Fiat, Ducati Energia, Dana Bosch, Bonfiglioli), ai progetti di ricerca applicata, a nuove attività ad alto valore aggiunto, e, non certo ultime, alle migliaia di imprese che generano innovazione in modo quasi invisibile, continuando a imparare, sperimentare e applicare nuovi metodi e tecniche nelle varie aree di gestione aziendale.

All’ultimo censimento risulta molto vivace in Trentino la pattuglia delle imprese fra 3 e 9 addetti, con il 40,2% che ha introdotto innovazioni di tutte le tipologie (di prodotto, di processo, organizzative e di marketing): più della media italiana (32,2%) e del Nord est (35,9%). Queste nostre 3.700 aziende sono un caso di innovazione preziosa e poco «celebrata».

Nel nostro Paese prevale tuttavia l’innovazione incrementale, generata da aziende tradizionali, quella che G. Maria Gros-Pietro (Affari & Finanza, 2003) ha definito «l'innovazione senza ricerca». Perciò oggi si ritiene utile puntare di più sui progetti di eccellenza e sulle imprese innovatrici, che spingono il sistema verso la frontiera delle tecnologie, creando valore partendo dalla conoscenza. In effetti la spesa delle nostre imprese in ricerca e sviluppo (Trento 2013: 0,83% del PIL, Italia 0,71%, Nord est 0,88%) è ancora molto inferiore a quella della Zona Euro (1,34%).

La Provincia offre robusti aiuti a tutte le forme di innovazione: finanzia la ricerca nelle istituzioni pubbliche; incentiva le aziende ad acquisire nuovi saperi (ricerca applicata, consulenze, brevetti, formazione) e nuovi impianti; aiuta le nuove imprese, anche con l’esenzione IRAP; accompagna i progetti aziendali con Trentino Sviluppo; alimenta un’ingente domanda di beni e servizi, che, se qualificata, induce forniture innovative.

Benché non di rado se ne parli in negativo, in realtà questo articolato sistema di stimoli spiana le vie dell’innovazione. Ci sono dunque ampie possibilità per migliorare: basta un po’ di intraprendenza in più e… un bel po’ di crisi in meno!

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